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  • Potenziare e prevenire: le due parole per una città sicura

    163506408_a1a35190ca_o.jpg(*) La sicurezza delle città in cui viviamo costituisce uno dei temi più scottanti nei dibattiti alimentati dall’opinione pubblica italiana.
    Il diritto alla libertà e alla sicurezza del cittadino , per l’importanza che riveste nello scenario politico globale negli ultimi vent’anni, viene persino sancita nella legislazione internazionale, ovvero nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
    Oggi, infatti, è il tema che occupa il primo o il secondo posto nelle preoccupazioni dei cittadini, soprattutto di quei segmenti sociali più “deboli”, ovvero donne, anziani e bambini. Per questo costituisce un fattore “strumentale” che le politiche di Governo, locale e nazionale devono affrontare organicamente e efficacemente.

    Il concetto di sicurezza nel territorio urbano ha subito negli ultimi anni una significativa evoluzione. La vecchia idea di città sicura riconduceva essenzialmente la criticità ad un problema di incolumità personale rispetto a fenomeni criminosi: questo tipo di sicurezza, relativo all’ordine pubblico nel suo aspetto di “polizia”, fa riferimento sia ad approcci risolutivi di tipo repressivo che preventivo, ma è tipicamente afferente alle competenze delle sole forze dell’ordine.
    La domanda di sicurezza da parte dei cittadini sta assumendo un’accezione più ampia, riferita alla vivibilità, alla libertà di muoversi, lavorare e usufruire con serenità degli spazi pubblici e privati delle città, in una situazione di convivenza civile tra etnie, culture e generazioni differenti: il tema, quindi, è quello del contrasto all’emarginazione, di una gestione responsabile dell’impatto del fenomeno dell’immigrazione, della tutela dell’ambiente e delle risorse culturali, della valorizzazione dello sviluppo locale, della protezione dei siti sensibili, della diffusione della legalità e al contempo della cultura delle regole.

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  • Tra sicurezza e omofobia

    giubileo.jpgIl mese in corso è crocevia di numerosi intrighi politico-legislativi, prima ancora che istituzionali. Autorevolmente è stato sostenuto che il governo cadrà a gennaio, perché appare necessario e quindi scontato che il governo resista fino all’approvazione della Finanziaria.

    Ma bisognerebbe pensare, almeno solo per un attimo, a quanti sacrifici una parte è costretta sul piano squisitamente politico. In proposito, non sarà, ad esempio, sfuggito ai più l’articolo di Giuseppe Tamburano, pubblicato su il Riformista di venerdì 7 dicembre, dal titolo: “Per la laicità, via dalla maggioranza” e rubricato: “Socialisti. Occasioni perse”. In breve, l’Autore si chiede che cosa debbano fare nell’immediata fase politica i socialisti e, asserendo di non aver alcun dubbio in proposito, conclude: “rompano solennemente con il governo e con la maggioranza assicurando a Prodi solo un eventuale <soccorso rosso> in caso di necessità. E si impegnino quotidianamente col massimo del vigore sui problemi del laicismo e della giustizia sociale”.

    Si dà il caso che l’occasione sia data dall’approvazione al Senato del decreto legge sulla sicurezza. Nella fattispecie concreta, il nodo politico-legislativo per il governo è rappresentato dall’introduzione dell’art. 1-bis al testo, laddove è precisato che “All’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, e successive modificazioni, il comma 1, è sostituito dal seguente: «1. salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, anche ai fini dell’attuazione dell’articolo 4 della convenzione è punito: a) con la reclusione fino a tre anni chiunque, incita a commettere o commette atti di discriminazione di cui all’articolo 13, n. 1 del trattato di Amsterdam”. In concreto, significa che nell’ordinamento giuridico italiano verrebbe introdotta una disposizione di legge che punirebbe, e considererebbe quindi reato, l’azione di chiunque compie o incita a compiere atti di discriminazione in relazione all’identità di genere.

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