L’anno dispari 2007 è finito ed è la volta del 2008 – che è anno pari e per la Cabala sembrerebbe essere quello della svolta – ma i timori e le preoccupazioni sono le stesse, arriverà Godot? L’agenda politica, in queste settimane, si è focalizzata su un tema che, a quanto pare, sembra abbia rimesso in moto il treno della politica e riacceso di nuovo l’interesse dell’opinione pubblica sui partiti. La discussione si è concentrata sui “modelli”: spagnolo, sistema tedesco, doppio turno alla francese. A leggere i quotidiani di queste settimane si ha l’impressione di trovarsi di fronte a tanti professori di diritto e a politologi di fama mondiale, tanto da far gridare allo scandalo anche Giovanni Sartori sulle pagine del Corriere della Sera. I neopartiti cuciti su misura per un’opinione pubblica volatile, con i loro premier ombra sempre più alla ribalta, invece di dare un indirizzo politico forte e chiaro, indicando rimedi per uscire dalla grave crisi in cui versa la democrazia italiana, si sono, fino a questo momento, limitati a reclamizzare altri modelli, con parvenze demagogiche.
Qualcuno potrebbe dire: “Ma come, non ti sembra troppo riduttivo dire che non sia importante la legge elettorale? A questa persona risponderei che in questi anni si è abusato troppo del termine legge elettorale, rendendolo quel “factotum della città” che non gli si addice. Nel passaggio dalla Prima Repubblica alla Seconda Repubblica si è tentato di risolvere il problema ( sulla fine della Prima Repubblica in Italia avrei da ridire, perché in Francia siamo di fronte all’esperienza della V Repubblica e hanno la buona creanza di redigere ad ogni crisi repubblicana una nuova Costituzione, per legittimare le istituzioni agli occhi dei cittadini) con un escamotage: voltare pagina con il passato cercando di cambiare il quadro politico con una “bella” legge elettorale scaccia crisi. Perché questa bramosia di affibbiare capacità sovrannaturali ad uno strumento che codifica i voti espressi dagli elettori in seggi del Parlamento? La risposta non è superficiale e credo che sia per vari motivi: perché adesso è il terreno politico ideale per un confronto costruttivo tra leaders che prima su questo erano lontani anni luce (Veltroni e Berlusconi), anzi uno di essi era proprio uno dei paladini dell’antiberlusconismo; poi il tema legge elettorale serve a tutti gli schieramenti politici a distogliere lo sguardo dagli effettivi problemi che in questo momento ha l’Italia (ma a volte i problemi sono più seri del previsto e da soli si riprendono le prime pagine dei giornali, vedere la situazione della Campania); ultima questione ma non ultima per ordine d’importanza, tutto l’ambaradam politico di queste settimane – la ricerca che porterebbe alla luce abominevoli progetti (guardare la proposta presentata da Franceschini su un fantomatico modello mezzo francese e mezzo israeliano), sperando che si perdano per strada – permetterebbe di scrivere il futuro assetto politico, entro una piccola cerchia di partiti, con al centro PD e PDL. I teorici di questi nuovi modelli sono essenzialmente d’accordo con le considerazioni esposte nella vecchia bozza Vassallum, quella su cui si è stretto l’asse Veltroni-Berlusconi e poi messa da parte, che prevedeva un sistema misto tedesco-spagnolo-italiano, nel quale lo scopo principale era:
1) consentire di giudicare la qualità dei singoli candidati al parlamento;
2) ridurre la frammentazione partitica ; garantendo un pluralismo moderato;
3) preservare la dinamica bipolare…
4) senza rendere però ineluttabile la formazione di coalizioni pre-elettorali artificiose, prive di coesione programmatica .
La proposta Bianco di riforma del sistema elettorale, che ha detto “goodbye” al testo Vassallum, non contraddice i principi sopradetti e come dice lo stesso Bianco, presidente della Commissione affari costituzionali del Senato, è un “sistema simile a quello vigente in Germania”, ma “con alcuni adattamenti, derivanti in primo luogo da vincoli costituzionali”. Questa proposta è sicuramente figlia della nuova politica del PD: insistere sulla logica bipolare, adattandola al nuovo clima politico e soprattutto non rompere con An, Prc, Udc, per preservare il sistema con pochi partiti. Il dato che emerge è che si è voluto limare e correggere il sistema tedesco, il quale nella sua versione proporzionale puro avrebbe fotografato la situazione rappresentativa del paese, non andando incontro all’esigenza di eliminare la frammentazione partitica. Credo che sia ragionevole proporsi di importare questo tipo di modello, però solo se si desidera smantellare il bipolarismo. Il bipolarismo in Italia o “bipolarismo bastardo” (come l’ha sempre definito De Michelis) può essere garantito anche attraverso sistemi proporzionali, ma non attraverso quello tedesco; perché esso fotografa un bipolarismo che già c’è, ma non può crearne uno nuovo. Se poi si introduce lo sbarramento come quello tedesco (al 5%), ciò potrebbe comportare la sua elusione con un utilizzo di deroghe (come quella dei tre collegi vinti). Mi pare ovvio e scontato che se si vuole un sistema proporzionale con il bipolarismo, si deve agire in due modi, ritornando al desiderio veltroniano :
– un forte premio di maggioranza che garantisce una maggioranza a chi vince;
-oppure un modello simil-spagnolo, senza recupero dei resti e con piccole circoscrizioni e pochi seggi da assegnare.
La domanda sorge spontanea come dice Lubrano: stilare in maniera così fredda alcune bozze, per renderle le medicine infallibili all’ingovernabilità – quindi perfette per la stabilità di un governo – senza curarsi di quali potrebbero essere le conseguenze derivanti dallo “scopiazzamento” di tecniche d’ingegneria elettorale dei modelli stranieri e applicarle all’interno della realtà politica e sociale italiana, fa bene o male alle istituzioni del nostro paese? Credo prima di tutto che non sia giusto prendere come riferimento il parametro della governabilità e della stabilità (anche se il sistema tedesco è molto stabile), si rischia di non mettere in risalto i reali problemi della democrazia italiana. I problemi per me sono: lo spirito italiano non incentrato al bene comune e la scarsa partecipazione popolare nelle istituzioni del paese. Quello che voglio dire è che non è attraverso l’adozione di drastici strumenti di semplificazione delle istanze politiche che si risolve il problema, ma cercando di dotare il nostro sistema in crisi di più democrazia. Come ci si riesce? Con una parola responsabilità.
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