Ho passato l’intera mattinata e buona parte della serata di ieri a leggere commenti sul risultato elettorale. Stessa cosa avranno fatto (la maggioranza di) quelli che mi stanno leggendo e ognuno avrà ormai raggiunto delle convinzioni che per quanto mi riguarda, spero di trovare condensate, tra qualche giorno, in qualche analisi che mi consenta di evitare di mettere nero su bianco i mille pensieri che adesso mi passano per la testa.
Quello che invece mi è chiaro fino a volerlo scrivere è l’idea che mi sono fatto sul futuro del PS perchè il passato è gratis, ma il futuro è sempre a pagamento.
Il disastro elettorale del PS (un partito con 75000 iscritti che raccoglie meno di cinque voti per ogni tessera è un assurdo) trae origine dall’accettazione da parte degli italiani dell’invito al voto ‘utile’ e al voto al ‘meno peggio’.
Si tratta, ad evidenza, di una retorica perfettamente aderente agli interessi del Veltrusconi. I due principali partiti hanno fatto finta di disputarsi un trofeo che invece era già assegnato e tramite una stampa a dir poco compiacente ci hanno messo poco a trasformare gli interessi del PD e del PDL in interessi dell’Italia.
Ma sarebbe un errore mortale imputare agli altri le proprie sconfitte. Walter Veltroni ha fatto gli interessi del suo partito, non era certo sua responsabilità il sostegno dell’intera sinistra, e per certi versi ci è pure riuscito. L’impossibilità di battere il carrarmato nazional-popolar-leghista era nota da tempo, la dirigenza del Partitus Dei ha quindi preferito difendere la propria sopravvivenza riuscendo, insperatamente, ad accreditarsi come unico rappresentante delle forze a sinistra dei clericali centristi. Se da questo posizionamento faranno anche vera opposizione, lo sapremo dopo. Allo stato attuale, visti i contenuti programmatici, mi pare difficile.
La sconfitta del PS, dunque, è colpa solo del PS e, in particolare, della sua classe dirigente. La vera storia dei socialisti italiani non la conoscono tutti. Tutti, però, hanno una certa idea – giusta o il più delle volte sbagliata che sia – di quello che è stato il periodo craxiano, cioè il periodo che precedette l’implosione innescata da Mani Pulite. Presentarsi, oggi, nel tempo dell’antipolitica, con esponenti sopravvissuti a quell’epoca, si rischia, come minimo, di essere fraintesi o, come spesso accade, di essere oggetto di quel mai sopito pregiudizio antisocialista che condanna sempre per l’appartenenza e mai per le idee. Non si capirebbe, infatti, come mai socialisti come Giuliano Amato, Del Turco o Cicchitto siano diventati buoni “politici” solo da quando hanno lasciato Craxi e il PSI.
La responsabilità della classe dirigente a cui mi riferisco è dunque altra e consiste nell’incapacità di una iniziativa politica che sia capace di superare i vecchi schemi da prima repubblica che si sono ripetuti, un esempio tra tutti, nella compilazione delle liste con le solite gerarchie poltronare e la chiusura del partito al mondo esterno che iniziava a guardare con interesse al suo interno. Lo schema da prima repubblica si è ripetuto poi nel linguaggio politico univocamente rivolto ad attaccare il PD: il tatticismo tra i posizionamenti strategici di PD e PS… ma cosa volete che gliene freghi all’operaio di Valdagno!
Nuovi uomini, giovani e donne, urgono per portare avanti nuovi programmi. Un partito con oltre un secolo di storia non può ridursi a parlare ossessivamente solo di laicità e diritti civili. Sono valori importanti, da condividere con altri, ma anche valori che, come dimostra l’esperienza della Rosa nel Pugno, in Italia non pagano in termini elettorali.
Un gay, una lesbica o una coppia di fatto, lavorano, mangiano, studiano, viaggiano, producono, pagano le tasse, vanno in ospedale a curarsi, vogliono arrivare alla fine del mese, vogliono flessibilità ma non precarietà. Non credo di sbagliare dicendo che producono più degli altri. Nessuno come noi socialisti liberali sa quanto sia importante l’accoppiamento delle libertà economiche con quelle civili per giungere all’esaltazione di entrambe.
Nuovi programmi senza l’errore della sinistra massimalista che, assieme al PS, rischia l’estinzione. In quel caso, quello della SA, c’è un errore di prospettiva storica, la pretesa di guardare avanti con la testa rivolta all’indietro.
Nel caso socialista, invece, c’è la prospettiva di una collocazione programmatica nell’alveo della sinistra moderna, socialista e liberale (e perciò radicale), che ha ricevuto non solo elaborazioni teoriche di rilievo ma che porta a casa vittorie elettorali in paesi tra i più sviluppati al mondo.
Gli slogan ‘Duri contro il crimine, duri contro le cause del crimine’ sono slogan compiutamente socialisti laddove si è disposti, come hanno fatto i socialisti in Europa, a riconoscere che la microcriminalità colpisce soprattutto le fasce più deboli. La guerra in periferia tra l’immigrato e l’operaio italiano è una guerra tra poveri. E’ un luogo di presenza storica dei socialisti.
La lotta per le liberalizzazioni economiche, a iniziare dai cartelli oligopolistici di banche e assicurazioni per finire alle corporazioni di tassisti, notai e farmacisti, è una missione del socialismo liberale che da sempre è impegnato a dare competizione al sistema per dare forza al cittadino-consumatore.
La lotta alla furbesca distorsione della flessibilità trasformata in precarietà, è compito di un partito che fu dei più gloriosi rappresentanti sindacali.
La creazione di nuova occupazione tramite la realizzazione e l’ammodernamento delle infrastrutture è socialdemocrazia orientata al progresso e contro il declino.
L’elenco potrebbe continuare, ma è meglio fermarsi e riassumere il tutto: ripartire da uomini nuovi, con programmi che presentino nuove e più consone priorità.
Caro PS, questa è la condizione se vuoi ancora il mio sostegno. In attesa che rinasca la rimpianta Rosa nel Pugno.