Politica e conflitto d’interessi

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Una grande rivoluzione politica sarebbe quella che a fare politica ci pensassero i politici. L’Italia è il paese dei conflitti d’interesse, dove posizioni di rendita si scontrano con i bisogni dei cittadini. L’esigenza di una singola categoria spesso non coincide con l’esigenza collettiva, però essendo la singola esigenza organizzata e compatta riesce ad influenzare il legislatore.
Voglio partire da un articolo apparso sul Corriere della Sera di domenica 22 luglio 2007. A pagina 5 veniva riportato una dichiarazione del segretario della CISL Bonanni che considero a dir poco scandalosa. Si stava parlando del superamento dello scalone, riporto testualmente: “…. considero profondamente ingiusto che a decidere sui temi sociali siano i partiti, nel migliore dei casi veniva fuori una Bosnia, e dentro la maggioranza poi”.

Questa dichiarazione l’ho trovata vergognosa in quanto è la negazione stessa della democrazia, è la negazione stessa dello stato repubblicano basato sulla divisione dei poteri, per cui tanta gente ha perso la vita. Per quale motivo le leggi sul lavoro, sulle pensioni, sul fisco dovrebbero essere fatte dal sindacato che rappresenta sempre meno il mondo produttivo, e non dai partiti che hanno ricevuto un’investitura popolare? Noi tutti abbiamo votato per eleggere un parlamento (ci hanno negato, e continuano a farlo, di sceglierci il nostro rappresentante, però ho votato) e pretendo che chi legifera sulla mia vita, sulla mia pensione, sia chi è stato eletto da un voto popolare, anche sbagliando, ma pur sempre legittimato da una X su una scheda elettorale. Ciò che mi preoccupa è che nessun eletto si sia sentito indignato e scavalcato nella propria competenza da un organo di rappresentanza minoritario rapportato sulla forza lavoro, e lontano anni luce dalle nuove generazioni.
Il malcostume politico e civile italiano è vedere che ognuno cerca di invadere il campo altrui dimenticando di fare il proprio lavoro. Politici imprenditori, imprenditori politici, sindacalisti che naturalmente sfociano in politica, ecclesiastici che mettono a rischio la laicità dello stato, e così via. La politica deve guardare ai problemi generali e non scendere nel piccolo problema particolare per mantenere rendite di posizione anacronistiche.
Uno stato di diritto e moderno si basa sulla divisione dei poteri e delle competenze, ad ognuno il suo ruolo, la politica faccia la politica e non gli affari, i sindacati facciano gli interessi dei lavoratori e non politica o i propri interessi, gli imprenditori facessero impresa e non politica.

Eppure oggi non è così. Questa elementare regola è abbondantemente disattesa nei fatti. Vediamo gruppi industriali che detenendo la proprietà dei mass media influenzano l’informazione, imprenditori che non si assumono mai le responsabilità del degrado italiano, eppure tanti hanno beneficiato di finanziamenti a pioggia, sindacalisti che organizzano scioperi continui quando al Governo siede Berlusconi e sono spesso latitanti quando al Governo c’è Prodi, sindacati che invece di tutelare i lavoratori o di elevare il dibattito sulla questione salariale o normativa, si impegnano come non mai alla riuscita di un progetto politico a prescindere. Non ho mai negato il diritto di fare politica a chiunque voglia farla, ma la politica guarda al bene generale e non al bene particolare. Ci piaccia o no, le imprese o i sindacati tutelano specifiche categorie. Facciamo l’esempio delle ferrovie italiane e del loro stato di degrado. Chi ha il dovere di tutelare i pendolari? La politica. Ebbene se le corporazioni influenzano la politica, è del tutto evidente che a rimetterci saranno i pendolari, e i pendolari continueranno a prendere treni sporchi e costantemente i ritardo.

Aberrante è anche il metodo della concertazione tra Governo e parti sociali. Aberrante non è lo scambio di punti di vista, utilissimo per produrre una buona legge, aberrante è che nelle discussioni partecipano solo i sindacati e Confindustria. E i non iscritti al sindacato? E i commercianti? E gli artigiani? E i lavoratori autonomi? E i lavoratori a progetto? E i disoccupati? E i lavoratori non iscritti a nessun sindacato? Chi rappresenta tutte queste categorie? Perché dovrebbero essere esclusi dal tavolo della discussione?
Tralasciamo il Vaticano e la magistratura, o meglio stendiamo un velo pietoso.
La politica deve riassumere quel ruolo guida del paese, altrimenti il vuoto che lascia viene riempito da chi, non solo non ne ha titolo, ma neanche le competenze per farlo. Ritornando alla dichiarazione di Bonanni, questa deriva di onnipotenza manifesta quanto l’Italia sia lontana dall’essere un paese normale, dove un esponente di un grande partito sindacale attenta alla costituzione nel silenzio generale perché, costituzionalmente parlando, l’organo preposto a fare le leggi è il Parlamento eletto dai cittadini, e non un’organizzazione eletta da nessuno!

Purtroppo a dispetto di tutto la politica non è mai stata così debole tanto è influenzata da quelle corporazioni che riescono con il loro potere a spostare pacchetti di voti, a prestare candidati, ad influenzare i media, a finanziare campagne elettorali faraoniche. Spesso sento i sindacalisti o gli industriali invitare la politica a rinnovarsi, ma quando dovremmo aspettare per vedere un rinnovamento nel sindacato o nel capitalismo familiare italiano?