E’ vecchia l’idea che la campagna elettorale sia il luogo delle mirabolanti promesse giammai mantenute (almeno in Italia).
Ci eravamo illusi che questo propagandato ‘nuovo che avanza’, giusto per richiamare una espressione passata di moda, consentisse di superare quel fastidioso residuo d’altri tempi.
Ci lascia delusi, quindi, il fatto che anche nella stesura dei programmi elettorali, i nuovi “contenitori” che si disputano il potere, dalle sigle così equivocamente simili, PD e PDL, abbiano utilizzato vecchi schemi degni dei migliori illusionisti.
Tradotti in soldoni, cioè quella cosa che manca nelle tasche della maggior parte degli italiani, sia la destra che il PD sfoderano ‘promesse’ quantificabili circa 80 miliardi di euro.
Nel caso della destra la cifra deriva principalmente dall’abolizione dell’Irap (25 mld), dall’Iva per cassa (20 mld una tantum), detassazione straordinari e tredicesime (10 mld) , introduzione quoziente familiare (9 mld), riduzione Iva su turismo (9 mld), bonus locazioni (3 mld), abolizione ICI (2 mld) .
Questa somma, già stratosferica, potrebbe tranquillamente raddoppiare considerando i costi connessi alle genialate da estrarre dal cilindro: libri gratis ai poveri, bonus bebè, aumento pensioni basse, crediti d’imposta vari, nuove risorse alla giustizia, nuovi Cpt, fondi garanzia per i mutui e chi più ne ha, più ne metta.
Nel caso del Partito Democratico (che dovrei chiamare la sinistra, MA ANCHE, il centro e la destra, quindi lo chiamerò l’ibrido), tradizionalmente meno avvezzo alle discipline contabili, riusciamo – grosso modo – a quantificare le maggiori detrazioni per i lavoratori dipendenti (3,5 mld), un punto in meno di Irpef (7 mld), salario minimo a 1000 euro per i precari (6 mld) , flat tax sui fitti (2 mld), dote fiscale figli (1,2 mld), crediti imposta donne lavoratrici e detassazione salario aziendale (3 mld).
Come si arriva a 80? Ci si arriva – grosso modo – assegnando un valore medio a tutte le decine di incentivazioni, agevolazioni, riduzioni, maggiorazioni comprese nel programma.
Questi sono i ‘costi’ , cioè quella cosa che tra nuove uscite o minori entrate fa salire il deficit pubblico.
Per coprire i costi, bisogna dunque ricorrere a minori uscite o maggiori entrate. Elementare, Watson.
E qui il Mago Veltrusconi si cimenta in uno dei suoi numeri meglio riusciti: entrambi i partiti propongono la riduzione della spesa pubblica (un punto la destra e mezzo punto l’ibrido) e, guarda caso, entrambi propongono di valorizzare e cedere il patrimonio pubblico disponibile, cioè, principalmente le case Iacp e comunali. Potete anche giurare che tutto il resto deriverà dalla lotta all’evasione e da un punto di crescita del PIL.
A voler essere buoni, possiamo anche dare atto a Veltrusconi di aver indicato la copertura per meno di un terzo dei costi del programma.
Ma vediamole meglio queste coperture. La destra si affida soprattutto al piano casa di Brunetta. Ci sono due milioni di alloggi. Si vendono agli inquilini trasformando l’affitto in rate di mutuo. I crediti vantati nei confronti degli inquilini diventati proprietari, per affitti diventati mutui, si ‘cartolarizzano’ cioè si cedono e si incassano.
L’operazione, che consiste nel trasformare in ‘proprietari’ 2 milioni di inquilini, nel suo complesso, sembra una buona cosa, senz’altro da farsi, tanto che anche “l’ibrido” punta su una cosa simile.
E’ però tutto da dimostrare che, in termini di gettito e in termini di ‘tempistica’, da essa possa derivare una significativa fonte di copertura.
Nel 2006, la destra vantava il fatto che oltre l’80% degli italiani possedesse una casa ed additava tale circostanza come indicatore di benessere diffuso. Dopo due anni scopriamo che gli italiani hanno ‘fame’ di case, due milioni di alloggi che, voilà, ci si contenderà all’arma bianca.
Bisogna anche dire che questo rigurgito di “fanfanismo” (da Fanfani, l’ autore di un massiccio piano casa degli anni del centrosinistra di oltre 40 anni fa) non è scevro da controindicazioni, effetti negativi che tutti trascurano.
Primo fra tutti l’effetto negativo sulla mobilità sociale. Il proprietario è meno propenso dell’inquilino a cambiare città se gli offrono un lavoro migliore. E siccome oggi, troppo spesso, il proprietario ospita anche un figlio ultratrentenne, si capisce la limitazione che deriva al “sistema Paese” nel suo complesso.
Il capitolo relativo alla riduzione della spesa pubblica, l’altra componente fondamentale della ‘copertura’ assume caratteri tragicomici.
Comici, perché la promessa, da una parte, viene da coloro che in cinque anni di governo sono stati capaci di dilapidare l’avanzo primario facendo crescere, altro che ridurre, la spesa pubblica di 2,5 punti di PIL e dall’altra viene da una formazione le cui ibride componenti hanno – da sempre – fatto della spesa pubblica il più efficace sistema di reclutamento del consenso.
Tragici, perché non vi è uno straccio di indicazione concreta fatta eccezione per quei pochi milioni (35) derivanti dall’abolizione delle province.