Siamo incazzati e l’abbiamo detto. Siamo rompicoglioni e ce lo hanno detto. Il motivo per cui siamo incazzati e rompicoglioni sembra essere stato chiarito anch’esso: il paese va allo sbando e questo ci fa incazzare, noi non siamo d’accordo sul da farsi e passiamo per rompicoglioni perché non ci viene consentito di dirlo.
Si è capito pure che a noi, come alla maggioranza degli italiani, questo Partito Democratico, non piace nemmeno un po’, non essendo di destra ma neanche di sinistra. Questo ci rende simpatici anche oltre i nostri meriti. Simpatici si, ma sostanzialmente perdenti, e destinati a sparire.
Tanto che sempre più spesso capita di sentire dall’elettore che si sente socialista (europeo magari) ma che i socialisti (italiani s’intende) non li vota per quel misto di disprezzo del passato e commiserazione del presente che è l’effetto della vocazione minoritaria che troppo spesso ci viene, a torto o a ragione, attribuita.
Indossate dunque le garibaldine camicie rosse, si parta all’arrembaggio per raggiungere due obiettivi:
· il ribaltamento di questi due luoghi comuni (disprezzo per ciò che i socialisti italiani sono stati, commiserazione per ciò che i socialisti italiani sono) per scardinare la nostra immagine di debolezza.
· l’identificazione in un messaggio forte cui associare il senso della battaglia socialista.
La nuova immagine che ci dobbiamo costruire addosso per essere accattivante non può che essere ambiziosa, e da dannosi e insufficienti che siamo visti, dobbiamo puntare a voler essere utili ed apparire necessari.
Dobbiamo innanzitutto smettere di sembrare “quelli che era meglio quando ci stavano i socialisti” e dire ciò che molti in cuor loro già pensano, diventando “quelli che o la sinistra italiana si dice, come in tutta Europa, socialista, o questo paese è destinato a rimanere anomalo e la sua specificità continuerà a condannarlo al declino”. Dire, come labouratorio ha già fatto, che l’anomalia italiana è la questione socialista.
In secondo luogo dobbiamo valorizzare al massimo quella che è la peculiarità della nostra identità, ovvero il nostro essere allo stesso tempo laici, liberali e socialisti (“quelli con tanti aggettivi” come mi disse una volta un ragazzo). E’ un’identità che permette di trascendere il semplice orgoglio socialista e al contempo di suscitare entusiasmo e simpatia in una più vasta fascia di elettorato, soprattutto giovanile.
Laicità, liberalismo e socialismo sono tre connotazioni di cui l’Italia ha un bisogno disperato, ancor più nel momento in cui grossa parte della sinistra sembra aver perso la bussola.
Utili perché laici, liberali e socialisti, necessari perché unici.
Al contempo dobbiamo alzare il volume di fuoco sul Partito Democratico, denunciando l’enorme anomalia che rappresenta e il cumulo di contraddizioni di cui è portatore e che rischiano di cristallizzare la crisi italiana per gli anni a venire. Spariamo alto, l’argomento tattico del voto utile a Veltroni si sconfigge solo alimentando fino in fondo il sospetto che questo voto sia dannoso ancor prima che inutile.
Denunciamo l’operazione di marketing cosmetico che vuole fare apparire il PD come la panacea di tutti i mali del paese. Del resto è molto diffusa nel paese la percezione della profondità della crisi che lo investe, ed è facile fare strada allo scetticismo che le ricette miracolistiche riproposte senza tregua ormai da tempo fatalmente alimentano.
La luce non può che essere in fondo a un tunnel necessariamente parecchio lungo. L’immagine cui dobbiamo legarci sia allora quella del Partito Socialista come l’avanguardia illuminata di un progetto necessariamente a vocazione maggioritaria, che non esita a dire ad alta voce di puntare nel medio periodo a sostituire il tragico sbaglio costituito dal PD.
E’ peraltro indubbiamente più attraente sostenere un progetto d’avanguardia che una battaglia di testimonianza.
Ripulita l’immagine non resta che identificarsi nel messaggio: se il punto di partenza è che questo è prima di tutto un paese ingiusto, dove non vengono riconosciuti e premiati i meriti, il “core” del nostro messaggio non può che essere la liberazione, la rimozione delle cause materiali che impediscono l’effettivo dispiegarsi di “giuste” dinamiche sociali.
Una liberazione dalle mille caste che incatenano la società, in primis la politica, ma anche la magistratura, gli ordini professionali, la Chiesa.
Una liberazione anche culturale, dai precetti benpensanti di una cultura tipicamente ipocrita e bigotta di cui questo paese è imbevuto.
Una liberazione anche dall’idea che nel 2008 sia ancora necessario essere fedeli alla linea e votare per il Partito (democratico), anche quando questo sembra aver palesemente smarrito la bussola culturale.
Una liberazione che è lo sbocco naturale della battaglia laica, liberale e socialista in cui ci identifichiamo.
Rimbocchiamoci le maniche dunque; una nuova immagine, un nuovo messaggio e una nuova determinazione possono e devono sospingere l’avanguardia socialista alla guerra di liberazione.