Come ha scritto qualcuno, il 15 aprile ci sarà il decesso (che spero comunque non avvenga) del socialismo italiano che avrà però, mandanti e sicari ben precisi individuabili nel Pd, come hanno ben commentato Massimo Franco, Enrico Rusconi ed Ernesto Galli della Loggia.
In effetti, anche se – all’indomani del 15 aprile – con la possibile scomparsa del Partito socialista sembrerà estinta la questione socialista in Italia, questa si riproporrà nella sua intatta drammaticità anche dopo quella data: l’intrinseca debolezza e la persistente frammentazione di un’area socialista che non riesce a trovare e costruire il soggetto politico che la possa rappresentare nella sua totalità sociale ed elettorale.
Sul Corriere della Sera del 14 marzo nel bell’articolo di Massimo Franco – L’Europa di fronte all’anomalia parallela del sistema italiano – si legge: “…la polemica mette in ombra che a livello europeo viene attribuita all’Italia una doppia anomalia. Una riguarda il Pdl berlusconiano; l’altra il Partito democratico di Walter Veltroni, seppure per motivi molto diversi. Il Pd rischia di trovarsi ad affrontare problemi di identità non irrilevanti, in prospettiva. E non per la questione del fascismo o del comunismo, ma per il suo profilo continentale tuttora indefinito. Se si dovesse eleggere adesso il Parlamento di Strasburgo, il Pd avrebbe parlamentari iscritti a gruppi separati: in uno, quello dell’Alde (Alleanza liberali e democratici europei), gli ex della Margherita; nel Pse, gli ex diessini.
Fra un anno si voterà davvero in Europa, e non è detto che allora la questione sarà stata risolta. L’ha ricordato candidamente Massimo D’Alema, ministro degli Esteri uscente e vicepresidente dell’Internazionale socialista. I socialisti europei debbono trovare «un modo e una denominazione che consenta di stare tutti insieme», ha dichiarato ieri D’Alema. Si trovava a Bruxelles, reduce da un incontro con i leader laburisti inglese e spagnolo, Gordon Brown e José Rodriguez Zapatero. E raccontava la simpatia e l’interesse che gli alleati europei mostrano nei confronti del Pd.
Ma anche il movimento veltroniano è un esperimento: e rischia tensioni interne forti, in caso di sconfitta alle elezioni del 13 aprile. Rispetto a un D’Alema che già considera il partito «nella famiglia riformista e socialista», la componente ex popolare non sembra disposta all’arruolamento nelle file socialiste. Il risultato è un’Italia che si presenta con un Pdl destinato a rimanere un sorvegliato speciale in Europa; e le parole dette ieri da Berlusconi a favore di Israele e contro il dialogo con Hamas confermano una sterzata in politica estera, se il centrodestra vince. Ma sull’altro fronte c’è anche un Pd che chiede al Pse di cambiare nome per permettergli di non spaccarsi. Più che una doppia anomalìa, rischia di diventare un doppio handicap.”
Riflessioni che riecheggiano quelle scritte da Galli della Loggia sul Corsera del 9 marzo – L’eterna rimozione – :
“…. Se ci si pensa bene, infatti, sono stati Prodi e i cattolici cosiddetti democratici, è stata proprio la loro presenza, la sponda politica da essi offerta, che ha consentito agli ex Pci di non diventare ciò che a nessun costo la maggioranza di essi, in obbedienza al proprio codice genetico, voleva diventare: socialdemocratici. Che cioè ha evitato quello che altrimenti sarebbe stato l’esito ovvio, direi inevitabile, della fine della loro vicenda.
Grazie invece alla presenza di quella peculiare corrente del cattolicesimo politico, all’interesse vivissimo da essa sempre coltivato per la vicenda comunista, e dunque all’incontro reciproco scritto in un certo senso nelle cose, grazie a tutto ciò, gli ex Pci sono stati in grado di uscire dalla strettoia in cui la loro storia li aveva cacciati, potendo dar vita all’ennesima anomalia italiana. Ad un’entità politica, il Partito democratico, della cui denominazione (e della cui sostanza), come si sa, non vi è traccia in alcun altro lessico della sinistra europeo-occidentale.” (…)
E anche Rusconi sulla Stampa dell’ 11 marzo – Il laico Zapatero – riconosceva, parlando della vittoria di Zapatero, il grande ruolo rivestito da un partito socialista in una nazione europea ed esprimeva il suo rammarico per l’eclissedel socialismo in Italia: “(..) Una serena, ferma e dignitosa difesa dello Stato laico vince elettoralmente in una democrazia matura. Questa è la semplice lezione del successo di José Luis Zapatero. Sappiamo che le varianti in gioco nelle elezioni spagnole erano e sono molte. Sappiamo che le differenze tra l’Italia e la Spagna sono grandi. Ce ne siamo dimenticati, anche per una certa provinciale supponenza che per decenni ci ha illuso di «essere più avanti» degli spagnoli. Adesso ci stanno dando molte lezioni: dal dinamismo economico all’impegno nelle istituzioni europee. Da qualche tempo ci offrono pure l’esempio di uno Stato che ha riscoperto il gusto della propria autonomia e dignità nel dimostrare con i fatti di essere l’unico depositario dei criteri dell’etica pubblica. Il plusvalore della laicità ha certamente rafforzato la prospettiva «socialista» della politica zapateriana, che punta sulla valorizzazione della «cittadinanza sociale». Solo l’eutanasia del socialismo nel nostro Paese impedisce di cogliere il nesso fecondo tra socialismo della cittadinanza e diritti civili.”
Dalle loro analisi e da quelle di altri studiosi sembrano, quindi, emergere le seguenti “negatività” del caso italiano:
1) Un sistema politico divergente da quelli esistenti nelle altre grandi democrazie europee per la sua morfogenesi e caratterizzato da vistose anomalie nel raffronto europeo
2) Riproduzione in vitro di due partiti “Frankestein” ovvero di due voluminose compagini partitiche derivate dall’ assemblaggio di pezzi organicamente diversi
3) Una forzata e stonata tendenza all’ americanizzazione” delle regole di funzionamento dell’impianto partitico imposta dai leader dei due partiti egemoni, Pdl e Pd (il voto “utile”)
4) Eliminazione programmata delle storiche culture politiche del Paese nei contenitori-partiti costruiti a tavolino privi di identità e distinguibili in senso tecnico solo per la vocazione maggioritaria e particolare accanimento nei confronti della tradizione socialista
5) La creazione di un modello imperniato su due partiti cartelli-elettorali che plasticamente riflettono il declino dell’Azienda Italia: una nazione in decadenza produce partiti “scadenti” con classi dirigenti mediocri e programmi interscambiabili
6) Accettazione conseguente della costante invadenza prescrittiva della Chiesa cattolica nei partiti e nella sfera pubblica dello Stato
7) Pretesa da parte delle leadership locali di considerare il “modello italiano” come modello di democrazia avanzata
In sintesi, la base di tutta la descritta devianza è l’intento semplificatorio, ovvero la pretesa di saltare la riforma elettorale pensando di deframmentare il sistema. In effetti, lo sbocco di tale processo sarà – dopo il 15 aprile – il passaggio da un bipolarismo bastardo ad un bipartitismo altrettanto innaturale e balordo della struttura politica nazionale innervato su due compagini – PD e PDL – somiglianti più a contenitori confusamente riempiti che a partiti veri e propri. Da ciò scaturiscono le anomalie rilevate nel sistema : il rimedio al male risulterà peggiore del male stesso.
In conclusione, autorevoli editorialisti e politologi individuano le stridenti e anomale contraddizioni dell’assetto partitico italiano nel contesto europeo, ammettono che il Pd non sarà mai un partito socialdemocratico e, implicitamente, rammentano che il cantiere per un partito socialista nuovo in Italia è perennemente aperto. E questo sarà il compito dei veri socialisti dopo il 15 aprile: riedificare la casa socialista sulla putrefazione del sistema politico italiano imperniato su Pdl e Pd.