Contro il federalismo – Nuova Italia S.p.A

Propongo una riflessione contro l’imperante retorica del Federalismo.
Figuratevi se un paese che non è in grado di esprimere una classe dirigente degna di questo nome può permettersi il lusso di generarne 20 (tante quante sono le Regioni d’Italia).
Per non parlare delle 100 Province (perdonate ma il numero esatto mi sfugge visto il continuo fiorire di fantasiosi agglomerati) o degli oltre 8000 Comuni dislocati lungo lo stivale.
Ognuno di questi ha i sui bravi presidenti, sindaci e consiglieri da mantenere e poi c’è il non meno importante (almeno numericamente ed economicamente) problema degli ex da ricollocare, stante la visione della politica come un mestiere da esercitare vita natural durante e non già un servizio da prestare alla collettività, che preveda la possibilità di ritirarsi a vita privata.

In principio fu la Lega Nord, all’inizio degli anni ’90, ad imporre all’agenda politica il tema della riforma dello Stato in senso federale. In seguito tutte le forze politiche presenti nel variegato scacchiere italico, dalla sinistra internazionalista alla destra nazionale, hanno adeguato i propri programmi al nuovo imperativo. Chi ne portava la primogenitura si è spinto fino ad invocare la secessione, ripiegando poi sulla Devolution, termine anglofono, per indicare una forma spinta di autogoverno delle realtà amministrative territoriali. Chi invece si era limitato ad abbracciare soluzioni più soft ha proposto alternativamente formule più o meno blande di regionalismo, ovvero ha avanzato l’idea di applicare il principio europeo della sussidiarietà ad ogni ordine e grado di ente locale.
L’unico federalismo che si è visto applicato è quello dell’irresponsabilità.
Si prenda ad esempio il caso della sanità. Divenuta di esclusiva competenza regionale con la riforma del Titolo V della Costituzione, si è dimostrata la principale voce di deficit nel bilancio di molte Regioni. Mentre alcune realtà hanno moltiplicato gli sforzi per eliminare le inefficienze e gli sprechi oppure hanno aumentato le tasse locali o imposto ticket all’erogazione di prestazioni assistenziali altre hanno semplicemente invocato l’aiuto dello Stato, che è puntualmente arrivato a ripianare i debiti scaricandoli sulla collettività generale. In questo modo si è punito indirettamente un comportamento virtuoso, premiando di converso la malagestione che non si è dovuta assumere l’onere dell’impopolarità. La realtà che ne è scaturita sembra mutuata dall’antico adagio latino del dividi et impera.

Parcellizzando e moltiplicando i centri di spesa si è sottratto la visione d’insieme di un meccanismo che fagocita danaro pubblico ed incrementa il debito. Nessun comune cittadino ha notato evidenti miglioramenti, l’onda lunga dei sindaci eletti direttamente dal popolo si è ben presto infranta contro gli scogli dell’atavica inefficienza dell’apparto pubblico e nel migliore dei casi è stata solo un’abile operazione di marketing quando non addirittura un semplice make-up di facciata. Diciamo chiaramente che gli Enti Locali sono divenuti in Italia la spina dorsale del sistema politico – clientelare, si potrebbe dire del fiorire di comunità montane sorte alle latitudini più improbabili ovvero delle tante società partecipate e dai compiti più disparati con cui si alimenta la spesa pubblica improduttiva, privando al tempo stesso i cittadini del diritto di esercitare il potere di controllo democratico attraverso il voto. Anche le municipalizzate che gestiscono i servizi pubblici quali luce, gas o trasporti, una volta gestiti direttamente dai comuni, non hanno prodotto né il miglioramento dei servizi né evidenti risparmi per i cittadini – utenti.

Urge una semplificazione dell’impianto amministrativo, che rischia di collassare su se stesso sotto il peso della sua stessa inefficienza. Sarebbe il caso di accorciare almeno la filiera ma di abolizione delle Province se ne parla senza successo dagli anni ’70. Forse si potrebbe eliminare almeno gli enti inutili, ma se non si ha il coraggio di considerare inutili quelli che gli amministrano e ci lavorano, non si farà molta strada. Magari la soluzione arriverà con la bancarotta di questo Stato fallimentare, sarà forse più facile ripartire con una nuova denominazione sociale di Nuova Italia S.p.a.