Alitalia – Il vecchio e … l’antico

Ho fatto un tratto di autostrada anche oggi. La stessa che faccio quasi tutti i giorni. La mitica A1 che una volta, prima dell’era monnezza, si chiamava romanticamente Autostrada del Sole.

Non mi era mai capitato, finora, di imbattermi in un carro-attrezzi in panne. Era fermo nella corsia di emergenza e considerato il fumo che usciva dal motore ho dato poche speranze all’auto che, un paio di kilometri più avanti, era ferma anch’essa con i passeggeri in impaziente attesa di essere soccorsi.

La cosa, ma guarda un po, mi ha fatto venire in mente l’Alitalia. Una azienda scassata in impaziente attesa di essere soccorsa da governi e sindacati ancora più scassati che, lungi dal risolvere i problemi degli altri, non riescono nemmeno a risolvere i propri.

La vicenda Alitalia è ormai il simbolo di un’Italia insostenibilmente vecchia. Un paese con le istituzioni in panne, col motore fuso.

Il concetto di ‘vecchio’ non va confuso con quello di ‘antico’. Una distinzione che mi è ben presente per personali ebanistiche passioni e che spero possa essere avvalorata dal lettore che ha fatto studi classici.

Una mobile vecchio è una cosa logora, consumata, che per sopravvenuti difetti o inadeguatezze è meglio dismettere. Una cosa, insomma, che non vale niente e per la quale non conviene, in genere, spendere quattrini per metterla a nuovo.

Discorso diverso per un mobile antico: non gli si chiede, in genere, di prestar servizio; gli si chiede di mostrarsi, di fare testimonianza di se e della storia che rappresenta, epoca storica in generale oppure un pezzo di vita di passate generazioni.

Quella di Alitalia è la storia del tentativo di far sopravvivere il “vecchio”; ci si ostina a non vedere i difetti, a sopportare inadeguatezze, a spendere soldi quando non ne vale la pena.

Il vecchio è la prassi clientelare che vedeva nel “parastato” il luogo dove ‘sistemare’ gli amici e gli amici degli amici.

Il vecchio è la prassi clientelare che ha permesso a una classe di manager pubblici di essere pagati molto più di quelli privati senza essere obbligati, come questi ultimi, a rendere conto dei propri risultati.

Il vecchio è la prassi sindacale che mette la sopravvivenza del sindacato prima degli interessi dei lavoratori; che si ostina a difendere il “posto” di lavoro e non i lavoratori; che ancora non ha capito che, a differenza di ieri, le imprese possono anche morire perché i confini nazionali non proteggono più le corporazioni e i parassitismi.

Il vecchio è la prassi politica di chi mente sapendo di mentire, di chi recita un ruolo nel dramma senza preoccuparsi di come andrà a finire.

Il vecchio è la prassi politica dei liberali per sfuggire ai propri doveri e statalisti per difendere i propri interessi.

Il vecchio è la prassi culturale di rincorrere l’italianità proprio nell’azienda che guadagna di più se riesce a stare fuori dall’Italia.

Il vecchio è la prassi antieconomica di negare l’evidenza costringendo a restare sola un’azienda che soffre di solitudine.

Il vecchio è la prassi culturale di votare per fede e non per ragione accettando lune troppe volte invano promesse.

L’antico è invece quel condensato di logica e buon senso di cui sono da secoli impastati uomini e donne che ancora riescono a tirare avanti per se e la propria famiglia. Uomini e donne che non comprano ciò che nessuno vuole, che non portano a casa aggeggi complicati che non sanno gestire, che non vanno dal bottegaio troppo caro, che mai pagherebbero 180 piloti per una flotta di 5 aerei cargo.