“Questi DS non sanno comunicare”. Questa, ricordo, fu la mia prima reazione quando alcuni anni or sono mi capitò di avvicinarmi al mondo della politica. Quello che subivo era il rito di un modello stanco e che non aveva più avuto la forza di rinnovarsi da quando, da piccino, seguivo mio padre nell’attività del PSI. Un rito che si ripeteva inalterato, un lungo palco magari foderato di rosso, una serie di relatori allineati perfettamente con esso, una platea silenziosa (o poco rumorosa) ed unico elemento calamitante una bandiera di partito piegata e posta nell’angolo, un riferimento che negli ’80 aveva una forte valenza simbolica e connotativa, ma che oggi veniva ridotta a mero atto di presenza.
Erano gli anni dell’ascesa del berlusconismo e nessuno a Sinistra ne capiva i motivi del successo, tutti erano pronti a schierarvisi contro ma senza capire contro cosa. La Sini-stra da quel momento pagava il più alto prezzo alla sua “non-evoluzione”, e lasciava campo libero a chi invece da anni parlava la “stessa lingua” degli elettori.
Eppure lo schema non era nuovo, tutti dovremo sapere che qualsiasi società basa i propri rapporti attraverso una rete di relazioni comunicative, che garantiscono la circolazione dei ‘significati’ e delle ‘informazioni’. Una rete dove il linguaggio costituisce ovviamente la componente principale, ma non solo nella sua forma di elementare di serbatoio lessicale, ma anche sotto l’aspetto della produzione di immagini. Prendiamo ad esempio il caso del mito classico nella società antica, vedremo che proprio questa struttura visiva occupava un ruolo centrale nell’universo discorsivo, trasformando queste figure in elementi determinanti nella vita sociale della comunità.
Ebbene, la politica per 40 anni è riuscita a rimanerne fuori, mentre la società si evolveva e ne abusava fino diventarne dipendente, la ragion di stato impediva che tale linguaggio si insinuasse nella loro corteccia, lasciandoli impermeabili al nuovo codice basato sulle immagini. Accadeva semplicemente al mondo politico quello che accade normalmente in una famiglia (forma elementare di ‘comunicazione’ sociale), dove il cozzo generazionale genitori-figli è dovuto principalmente alla difficoltà di mediare fra il linguaggio e la produzione di immagini sviluppate da “modelli culturali” diversi. Accadeva (e accade tutt’ora) che il ritorno all’uso del culto del mito, del parlare per immagini e con le immagini, introduceva lentamente una diversa evoluzione antropologica, i figli realizzavano nel quotidiano un modello comportamentale con forme rituali, di racconto, di pubblica decisione diverse dai padri.
Diventa allora più comprensibile la scarsa efficacia di quel messaggio che subivo qualche anno or sono, dove il relatore alzandosi in piedi e guardando la platea, con con-vinzione affermò: “…dobbiamo parlare ai giovani, dobbiamo aprirgli le porte del partito…”. Un’affermazione certamente importante e di valore, ma che risulta sterile se prima quel interlocutore non dimostra la padronanza nell’utilizzare lo stesso linguaggio. Come risultano a somma zero, le operazioni di comunicazione delegata a terzi (tramite agenzie) altro non rappresentano che un rifiuto ed una incapacità nel voler imparare quella novità.
Oggi il berlusconismo sembra un’epoca passata e da nascondere in qualche cassetto della storia, ma sarebbe un errore non analizzarne i contenuti, non capire che per la prima volta in politica si è riusciti a riallacciare il linguaggio lessicale al linguaggio delle immagini. Accompagnare ad una riunione politica un volantino con una foto che ne riassume e ne sintetizza la volontà, equivale ad arrivare ad un maggior pubblico colpendone la sensibilità.
Ritorniamo ancora per un momento a quell’incontro politico citato in apertura, e proviamo a pensare che lo scopo che si prefiggevano quel giorno fosse stata la presentazione di una “fase costituente”, ebbene se al centro della sala dietro ai relatori ci fosse stata una gigantografia di un bambino che sorride, significava aver trasmesso in pochi secondi almeno l’80% del messaggio, dandone al contempo prospettiva politica.
Affiancare le immagini al lessico politico, ma anche lavorare sulla “forma”, non deve passare come un tradimento verso l’elettorato, una forma di inganno subliminale. Ingentilire il messaggio con una immagine positiva, equivale a dialogare semplicemente e più velocemente con quella cosa che in gergo si chiama “immaginario collettivo”.
Oggi chi inizia una “nuova storia” deve assolutamente cogliere questa possibilità, evitando di bloccarsi alla sola efficacia del comunicare, ma spendersi per far diventare il linguaggio delle immagini un linguaggio proprio. Chi di noi non si ricorda la campagna di Rifondazione Comunista sulle primarie dell’Unione dove su un foglio post-it apparivano scritte a matita una serie di frasi legate alla visione politica di Bertinotti candidato alla guida della coalizione. Ebbene quel messaggio rappresentava di sicuro un buon lifting per una forza politica che aveva sempre dimostrato avversità verso l’innovazione, un messaggio attuale e fresco, ma che fini lì perché non fu mai metabolizzato dal popolo rifondarolo e non si trasformò mai in un linguaggio continuo, tornando ben presto all’immagine “strillata” .
Ecco allora la nostra isola vergine nel Mare Nostrum politico, un linguaggio da adottare e non solo da delegare, proviamo a pensare se in tutti i nostri dibattiti e in maniera solidale eliminassimo l’elemento separativo del palco e riproponessimo il modulo costituito dalle due panchine giustapposte come proposto a Roma durante la Conferenza Programmatica. Ebbene, riproporre questo “modo nuovo” in una prospettiva aperta e fortemente democratica, non ci sarebbe d’aiuto per sconfiggere quel muro invisibile tra Casta e cittadini? Non ci permetterebbe allo stesso tempo di offrire una partecipazione più confidenziale al dibattito? E per noi stessi, a casa nostra e nei nostri incontri, perché non evitare il rapporto settoriale palco-platea e dialogare democraticamente attorno ad un tavolo tondo? Risolvendolo magari solo disponendo le sedie a cerchio?
Mi rendo benissimo conto che queste soluzioni apparentemente banali, risulterebbero di un’efficacia dirompente soprattutto se legate al fatto che saremo i primi a proporlo, i primi a manifestare anche “fisicamente” la volontà del cambiamento.
Dunque la nascita di un “nuovo progetto” deve sempre e comunque rispondere all’esigenza di stabilire un rapporto simbolico e diretto con la popolazione, deve cioè creare una struttura architettonica attraverso la quale contenere le diverse situazioni. L’interiorizzazione del linguaggio delle immagini e la trasposizione delle stesse nella carica simbolica del nuovo Logo deve poter entrare nella sfera più intima del singolo cittadino, solo comprendendo questo passaggio saremo in grado di giocare una delle carte più importanti nel prossimo scenario politico.