La Cina è una nazione che sta facendo parlare di sé, per la dura repressione nei confronti degli abitanti del Tibet. Le notizie che abbiamo sono note solamente ai non cinesi. L’ANSA commenta che “I giornalisti stranieri non possono entrare in Tibet senza un permesso ufficiale mentre ai turisti è stato chiesto di lasciare la regione. Alcuni reporters provenienti da Hong Kong sono stati espulsi con l’accusa di atti illegali”. Appare molto chiaro che il regime di Pechino stia cercando in tutti i modi di isolare la cittadinanza dalle news provenienti dall’esterno. Non contento delle tante notizie in circolazione sul web, ho cercato di ‘andare alla fonte’, chiedendo informazioni ad un amica, proprio in soggiorno-studio in Cina. Mi serviva infatti un testimone oculare in Cina – quindi interno all’attuale sistema cinese – ma allo stesso tempo con una formazione culturale esterna e abbastanza critico nei confronti del governo cinese. L’amica in questione si chiama Roberta Moncada, ha 23anni, è nata a Palermo e in questo momento si trova in Cina per motivi di studio, essendosi laureata in “Lingue e comunicazione internazionale”.
Category: Politica Estera
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Dialogo sulla Cina: una ‘Moderna Dittatura’
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[Kosovo] Territori a “maggioranza sbagliata”
articolo di Elisa Benzoni
Possiamo continuare a ripetere che il bombardamento Nato (con il sostegno della risoluzione Onu) del 1999 contro la Serbia è stato un errore; possiamo continuare a parlare del fallimento della politica (in questo caso, attenzione, multilaterale) delle Nazioni Unite, della Nato e con loro dell’Europa; possiamo continuare ad analizzare e contestare il comportamento del governo D’Alema; e infine possiamo invocare a gran voce il Diritto internazionale. Ma a cosa serve tutto questo? A cosa serve, in una sorta coazione a ripetere, fare convegni su quello che avrebbe dovuto essere e non è stato?
O meglio: certe domande un senso lo hanno, nella definizione di errori e responsabilità, in un quadro però che è, e deve rimanere, tutto storico e d’analisi. -
[Balkanika] Kosovo: una questione europea
In Kosovo nasce un fiore chiamato bozur. E’ un fiore rosso dal colore sanguigno che il folklore popolare attribuisce al sangue che innumerevoli volte ha macchiato la terra della regione. Nel 1389 il principe serbo Lazar Hrebeljanović formò una coalizione di signori cristiani per fronteggiare le armate del sultano ottomano Murad I. Sebbene Lazar venne ucciso ed il suo esercito sgominato, la morte del sultano lasciò una situazione incerta ed instabile in tutta la regione. Quella battaglia, nella Kosovo Polje (la Piana dei merli), viene ricordata ancora oggi dai Serbi come l’inizio della fine della loro indipendenza ma anche allegoricamente come il sacrificio del popolo serbo per salvare l’Europa dall’avanzata ottomana. E’ una mitologia pericolosa, che vede il nazionalismo più feroce mischiarsi alla dimensione cristologica del sacrificio. Il Kosovo dunque è una delle sedi originarie della cultura e del folklore serbi, ma anche il luogo dei più importanti centri di culto della chiesa serbo-ortodossa come il monastero di Dečani e pur tuttavia la maggioranza della sua popolazione nell’ultimo secolo è di origine albanese. I due popoli sono ferocemente divisi per cultura e tradizioni e lingua ma uniti da una storia comune che rende il Kosovo, mai come altro luogo, l’esempio più eclatante della condizione della polveriera balcanica.
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Shabbat Shalom, Fiamma! – Intervista a Fiamma Nirenstein [PRIMA PARTE]
PRIMA PARTE DELL’INTERVISTA DI EDOARDO FERRAZZANI A FIAMMA NIRENSTEIN
Tutto inizia qualche giorno prima della mia partenza per Israele.
Ambisco ad intervistare Fiamma Nirenstein. Così le mando una email, timida e forse improbabile.
Chiedo di poterla incontrare in una delle sue città, Gerusalemme, per una breve, brevissima intervista.
Inaspettatamente riceviamo risposta e, di lì a poco, la incontriamo al museo italiano di Gerusalemme al margine di un incontro, avuto luogo il 30 Dicembre dove assieme a sua madre, Fiamma Nirenstein riporta alla luce, con grande affetto e calore, alcuni episodi intimi della vita di suo padre, Alberto Nirestein, giornalista e scrittore, da qualche mese scomparso.
Scopro così alcuni frangenti dell’infanzia della mia giornalista e forse anche l’origine della sua professione.
Dopo una fugace presentazione mi invita a ritrovarci di lì a pochi giorni.
Ed è così che in un’uggiosa mattinata di shabbat, lo scorso 5 Gennaio la ritrovo.
Mi accoglie nella sua casa.
Appena varcato l’ingresso l’impatto è forte: dalla grande vetrata del suo salotto Gerusalemme mi appare diversa. Forse interpretando la nostra espressione, Fiamma Nirenstein mi racconta, con un sottile ghigno ironico, come ogni mattina si svegli al suono di una moschea vicina che con grande solennità, inneggia alla morte di Israele.
In attesa di un buon caffè rivolgo discretamente il mio sguardo alla sua copiosa raccolta di libri. Ai numerosi giornali e riviste che, già straziati da una rassegna mattutina, sono sparsi sul suo tavolo. Resto lì, ancora pochi istanti, tra pezzi di storia personale incorniciate, come quel trafiletto di giornale che milita su un comodino e che ci ricorda che Fiamma Nirenstein ricevette, non molti anni fa, un premio giornalistico assieme alla giornalista dissidente, Anna Politkovskaja.
Ci sediamo e parliamo di tutto. Della sua storia personale e professionale, delle sue iniziative politiche, di attualità mediorientale e non solo. (more…) -
Pena di morte ed analisi economica
Articolo di Mario Gregori (Università di Udine)
Con il SI’ di 99 paesi, il NO di altri 52 e 33 astenuti, alle 17,35 del 15 novembre 2007, la terza commissione delle Nazioni Unite ha approvato a New York un documento a favore della moratoria delle esecuzioni capitali nel mondo. Un tale voto è un civile gesto che intende stimolare la rimozione dalle legislazioni nazionali di un relitto barbarico, quale la pena di morte, o una masochistica rinuncia ad un poderoso strumento di dissuasione nei confronti di una criminalità sempre più aggressiva?
Apre il dibattito, nei giorni immediatamente successivi, il Wall Street Journal, che sposa apertamente la seconda tesi. Lo fa sulla scorta dei risultati di una ricerca di due studiosi della Pepperdine University (Malibu, CA), Roy Adler e Michel Summers. Essi hanno dimostrato come, in America, all’aumento delle condanne a morte eseguite si associa, negli anni ’90, una riduzione degli omicidi, mentre alla riduzione delle stesse, avviata a partire dal 2001, si accompagna un‘impennata dei crimini capitali.
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Cari cinesi siete oppressi da una casta di corrotti
Gli amici e compagni radicali hanno rilanciato in questi giorni l’iniziativa di un grande Satyagraha Mondiale per la pace da avviare nei giorni d’apertura dei giochi olimpici di Pechino. Sostenere la lotta per i diritti umani e per la democrazia è battaglia delle più nobili, condurla senza timori anche contro un paese potente come la Cina lo è in maniera particolare. Invito quindi tutti coloro che vorranno ad aderire a questa iniziativa.
Tuttavia questa può essere occasione per offrire qualche spunto, tra il serio ed il provocatorio, proprio riguardo agli argomenti da poter usare per intervenire in maniera incisiva sull’opinione pubblica cinese e sostenerla nella richiesta di un cambiamento dell’assetto politico e istituzionale del paese. Un assetto che è interessante analizzare sommariamente, per capire dove stiano i suoi punti più fragili. In primis vale la pena rilevare che oggi la principale risorsa ideologica del regime cinese è il nazionalismo, forse l’unica ideologia che è riuscita a sopravvivere al ‘900. Proprio le Olimpiadi saranno una superba celebrazione della nazione e dell’identità cinese, tanto mutevole quanto radicata nella coscienza dei suoi abitanti. Difficile, pertanto, pensare che un popolo che guarderà al medagliere con tanta ansia di superare gli Stati Uniti, sarà disposto a farsi distrarre da sacrosanti appelli alla democrazia e ai diritti umani.
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Dark clouds on 10 Downing Street
Lo scorso cinque Dicembre, l’Independent londinese, con un’apertura di prima da fra rabbrividire già anche l’algido Gordon Brown, titolava ”Is Britain’s economy heading the perfect storm?”.
La crisi economica sembra avvicinarsi inesorabilmente nel Regno Unito, almeno da ciò che si evince da tutta una serie di esternazioni di autorevoli istituzioni di settore e autorità indipendenti britanniche tra cui la Financial Services Authority, che lo scorso quattro Dicembre ha, per bocca del suo capo retail Clive Briault, sostanzialmente invitato i fornitori di credito britannici ad allacciare bene le cinture di sicurezza, munendosi di alta liquidità, dato che secondo le stime della FSA, il prossimo anno si annuncia essere foriero di alti livelli di insolvenze, soprattutto nel settore retail.
Non ultimo il probabile taglio del costo del denaro da parte della Bank of England, previsto per il sei Dicembre, sembra rassegnarsi alla bontà della previsione recessionista per il 2008.
In questo quadro, le nubi continuano a addensarsi intorno al già debole premierato di Brown e al suo ‘cabinet’.