L’odierna società europea è fortemente caratterizzata dal perdurante sviluppo di due tendenze fondamentali, che, in un’ottica politica di tipo riformista, occorre sostanzialmente regolare al fine di mantenere e, laddove possibile, incrementare il livello di benessere acquisito.Si tratta, per un verso, della diffusione di un sistema capitalistico avanzato, a forte incremento del tasso di finanziarizzazione, tipico di un’economia globalizzante e quindi, di fatto, già globalizzata. Per altro verso, ma in conseguenza pur sempre della diffusione ed incremento del progresso tecnologico ad essa connesso, l’ampliamento delle possibilità (opportunità) per l’individuo di provvedere “attivamente” alla costruzione del proprio futuro, in ragione del soddisfacimento di bisogni non più solo collettivi ma anche strettamente personali.
In tale contesto europeo, risalta l’iniziativa di riforma dei sistemi previdenziali, assunta di recente da molti Paesi membri dell’Unione, ciascuno per proprio conto in base a quanto previsto dai Trattati istitutivi della UE. In tutti i casi, si è trattato di introdurre elementi di capitalizzazione a sistemi che, complessivamente, scelgono di mantenere un assetto prevalentemente a ripartizione, che scaturisce dal patto non scritto tra nuove e vecchie generazioni di lavoratori.
In Italia, la riforma del sistema complessivo è stata avviata dal governo Amato con la legge-delega n. 421 del 1992. In essa fu prevista la riforma del sistema previdenziale obbligatorio di primo pilastro, da cui deriva il trattamento proprio di quiescenza, a totale carico dello Stato, mediante l’introduzione di un nuovo sistema di calcolo della prestazione, di tipo contributivo, in genere più penalizzante per il lavoratore. Inoltre, fu prevista l’istituzione di un sistema di secondo pilastro, da cui deriva il trattamento cosiddetto di previdenza complementare, interamente a capitalizzazione, con l’obiettivo prioritario di integrare i redditi dei lavoratori non più in attività di servizio.
Più che altrove, in Italia la riforma si è resa urgente, e si rende ancora necessario completarla, a fronte dell’ingente debito pubblico acquisito dal bilancio dello Stato. Pertanto, sul versante previdenziale, ritengo che occorrerebbe in via prioritaria: a) affrontare il pregiudizio dell’insicurezza economica e attuare politiche di riduzione della disuguaglianza dei redditi; b) affrontare il pregiudizio del rischio finanziario complessivo e attuare politiche di investimento e sviluppo del reddito nazionale; c) attuare una seria politica di riforma del risparmio individuale, in modo da assicurare ad esso un ruolo “attivo” nello sviluppo del sistema economico-finanziario complessivo.
Per molti versi, si tratta di ripetere anche in Italia l’esperienza già avviata in molti altri Paesi europei (La previdenza complementare, a cura di G. Loy e P. Loi, 2004; M. Paci, Nuovi lavori nuovo welfare, 2005; A. Giddens, L’Europa nell’età globale, 2007), realizzando politiche previdenziali atte a :
- individualizzare il diritto alla pensione obbligatoria di primo pilastro, anche mediante riforma dei trattamenti indiretti e di reversibilità, in modo da garantire una, anche “minima”, sicurezza economica individuale;
- garantire alle coppie di conviventi la possibilità di condividere il diritto alla prestazione di pensione sia complementare che obbligatoria;
- garantire il diritto ad una pensione adeguata anche a coloro che svolgono carriere lavorative discontinue, attuando piani di reinserimento al lavoro sostenuti da sussidi di disoccupazione;
- garantire forme di copertura previdenziale anche a coloro che, per un tempo determinato, si dedicano ad attività di cura ed assistenza di persone a carico.
- mantenere, anche nel caso di versamenti contributivi inadeguati, un livello minimo adeguato della rendita di pensione obbligatoria;
- potenziare in generale, e quindi estendere anche a quelle categorie di lavoratori oggi escluse, il sistema di previdenza complementare attraverso principalmente lo strumento della contrattazione collettiva;
- introdurre nuovi meccanismi di contribuzione e calcolo delle prestazioni individuati in base alla distinzione di genere tra donne e uomini.
Gli esempi in concreto da fare possono essere tanti, anche se non è certo questo lo spazio nel quale darne conto. Quanto invece ai benefici derivanti dall’investimento del risparmio individuale, in primo luogo per ciò che concerne le quote di TFR, occorre viceversa evidenziare che gli stessi finirebbero per incidere positivamente anche sullo sviluppo del sistema economico-finanziario complessivo del Paese. Si pensi solo alla possibilità di sviluppare, attraverso la costituzione dei Fondi pensione, un canale di intermediazione finanziaria del credito aggiuntivo a quello tradizionalmente costituito dalle banche. Dal punto di vista del sistema delle imprese, in particolare della PMI con meno di 50 addetti, verrebbe ripristinato un sistema di finanziamento corretto, mediante l’acquisizione di capitale esclusivamente di rischio e non anche di debito, come viceversa oggi avviene in ragione della liquidità del TFR mantenuto nella disponibilità del datore di lavoro. Infine, il sistema stesso consentirebbe di fatto ai lavoratori, attraverso i propri rappresentanti, di partecipare “attivamente” nel medio-lungo periodo alle decisioni di strategia e di investimento delle imprese.