Mi chiedo se il PD può arrivare al 40% – Intervista a Stefano Menichini

Intervista a Stefano Menichini


Stefano Menichini
(Roma, 15 ottobre 1960) è un giornalista e scrittore italiano. Comincia a lavorare a il manifesto a 19 anni. Trascorrerà nella redazione del giornale comunista diciotto anni, iniziando come diffusore militante per passare a cronista politico, caposervizio, caporedattore centrale, editorialista.
Nel 1997 lascia il manifesto. Diventa capo, fino al 2000, dell’Ufficio per la comunicazione istituzionale del comune di Roma, durante la seconda giunta Rutelli. Dal 2000 al 2001 è consulente per la comunicazione e responsabile delle attività in rete della Presidenza del Consiglio (Governo Amato II).
Nel 2003, partecipa alla fondazione del quotidiano Europa, organo della Margherita, e ne diventa vicedirettore, con direttore Nino Rizzo Nervo. Quando quest’ultimo lascia per diventare consigliere d’amministrazione della Rai (2005), Menichini diventa direttore del quotidiano.
Ha scritto libri sulla nascita del movimento politico dei Verdi, sulle politiche economiche e sociali del governo Berlusconi e Quindici parole, con Francesco Rutelli.
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

Innanzitutto grazie per la sua cortesia. Il solo aver risposto alla mail delirante che le ho spedito è conferma del suo coraggio. Questa intervista uscirà solo lunedì su web, al momento in cui le scrivo siamo al 30 di gennaio, quindi eviterò di chiederle previsioni che lunedì avranno già avuto esiti ufficiali.
Mi perdonerà quindi se salto direttamente alle urne, come tanto sembra desiderare Berlusconi. Secondo lei, se si voterà ad aprile o poco oltre, il Partito Democratico da solo può arrivare al 30%?

Mi chiedo se può arrivare al 40%, e non scherzo. Basta non fare errori.

Proprio solo soletto però, il PD non sarà. Secondo lei quali sono i possibili margini di alleanze elettorali? E scusi la curiosità, ma sarà proprio necessario “imbarcare” anche Di Pietro?

L’importante è che il simbolo del Pd e la sua proposta politica siano distinti da tutti gli altri. Su alcuni temi-chiave per rendere evidente la nuova fisionomia del Pd (sicurezza, opere pubbliche in-dis-pen-sa-bi-li), Di Pietro è un interlocutore più coerente di tanti altri.

Qual è il suo giudizio sul bipolarismo all’italiana? E quale ritiene possa essere la soluzione elettorale migliore per favorire un nuovo assetto del sistema politico?

Il bipolarismo degli ultimi 15 anni è stata una grande novità, poi una bella promessa, infine una brutta delusione. Un regime da caserma, dove chi parlava in libertà veniva richiamato all’ordine. Piacerebbe anche a me, come al Pd, un sistema elettorale a doppio turno di collegio, come in Francia.

In genere un partito ha a cuore un solo modello elettorale: quello migliore per sé. Il fatto che nel PD vi siano posizioni differenti in merito sembra la cartina di tornasole del fatto che vi siano prospettive diverse nell’intendere il ruolo futuro di questo partito. Quanti “partiti” ci sono dentro al PD?

Il Pd che piace a me è un partito unico, dove possano trovarsi a proprio agio persone che la pensano in modo diverso su alcuni temi, si confrontano, si contano, poi chi sta in minoranza accetta, aspettando di conquistare sulle proprie idee una maggioranza.

Siamo sinceri. Il PD non è un “compromesso storico bonsai”, ma non è nemmeno l’incontro fra liberali e socialdemocratici. La carenza di una cultura e di una pratica liberale come potrà essere colmata?

Ci penserà la dura realtà a colmare questo gap di cultura liberale, perché le ricette che risolvono tutto col solidarismo o con l’appiattimento falsamente egualitario vengono respinte da donne e uomini, soprattutto giovani, che pretendono di vedere riconosciuti i propri meriti.

Veltroni, comunista mai comunista e non fortunatissimo segretario del Pds, può apparire davvero come l’homo novus?

Homo novus: può apparirlo, anche se ovviamente non lo è. Ma chi lo è?

Dica la verità, le è dispiaciuto almeno un po’ che la Rosa nel Pugno abbia fatto la fine che ha fatto? Che prospettive vede oggi per i Radicali? Emma Bonino e Marco Pannella hanno tenuto fede al promesso giapponesismo prodiano, ma Pannella ha anche cercato di candidarsi alle primarie del PD ed oggi mi sembra (anche dall’istinto di conservazione, perdoni questa mia malizia che so lei non gradisce) “incuriosito” da Veltroni …

Non m’è dispiaciuto che sia finita male perché era un’aggregazione nata solo per riesumare un’identità ormai superata, al fine di… superare un quorum. I radicali soprattutto possono fare molto meglio di così, e spero ancora lo facciano nel Pd.

La Costituente socialista: virtù, limiti e quali prospettive … se ne vede …

Una cosa dell’altro secolo.

Dal Manifesto ad Europa. Dove si è divertito di più finora?

Al manifesto debbo tutto quello che so fare, e 18 anni di vita intensa e grandi esperienze. Con un po’ di divertimento, tanta tensione, troppo fumo di sigarette e alcune delusioni, soprattutto verso la fine. A Europa mi diverto di più, ma è troppo facile dirlo: sono il direttore, e facciamo quello che ci pare…

Probabilmente scrivo una castroneria, ma il suo giornale sembra aver ereditato il testimone del fu Riformista di Antonio Polito (che invero ci piaceva di più come direttore che come senatore). Intendo che la vostra voce sembra una delle più sinceramente liberali dell’intero centrosinistra. Lo accetta come complimento?

Lo accetto. L’unico limite di quel Riformista era un eccesso di trasversalismo fra i poli e talvolta la ricerca dello scandalo e della trasgressione fini a se stessi. Bel giornale e ottimo direttore, comunque.

Il suo giornale non manca di prendere posizioni nette, spesso anche coraggiose. Di recente lei ha scritto un editoriale di fuoco (che io con grande “scandalo” di tanti amici e compagni condivido in pieno) intitolato “Il giorno nero in cui muore la laicità”, riferito al caso del mancato intervento del Papa all’inaugurazione dell’anno accademico della Sapienza. “Quanti difensori della laicità hanno perso la patente per parlare di libertà di pensiero, di parola, d’insegnamento?”, si chiedeva in quell’editoriale. Io le chiedo: a che serve essere laici se non si è liberali? E se si ha la sfiga di essere naturalmente laici perché liberali basta dire né con Cini, né con Ruini?

La laicità nella quale credo io non ha paura di niente, tanto meno di ascoltare il Papa e interrogarsi se per caso non dice anche cose autentiche, profonde e vere sulla società contemporanea, come per esempio che la scienza non può essere un totem intoccabile, una religione assoluta. A me tra l’altro, che la scienza potesse essere contestata l’hanno insegnato proprio quelli come Cini, ed era il meglio delle posizioni della sinistra critica.

Lei è giovane. O meglio, lei è UN giovane, secondo i patrii standard. Per questo non l’abbiamo inserita nel nostro sondaggione sugli intellettuali nella categoria “direttori”, ma suppongo che sopravvivrà al dispiacere. Lei fra quelli in lizza chi voterebbe? (Bordin, Ferrara, Scalfari, Mieli, Sansonetti, Mentana, Feltri)
Lei si definirebbe UN intellettuale?

Voto Ferrara, a patto di poterlo stangare ogni volta che posso. Tecnicamente, ahimé, temo di essere un intellettuale, nel senso che mi guadagno la pagnotta con le idee e una professione più o meno creativa. Un intellettuale neanche laureato, però: ho cominciato a lavorare a 20 anni, ed è andata subito troppo bene perché rimanesse la voglia di faticare sui libri. Non me ne vanto, anzi ne ho sofferto parecchio.

La ringrazio sinceramente … ah! solo un’ultima cosa: quando lo licenziate Adinolfi?

Adinolfi non si tocca. Basta misurarsi con lui e non con il suo Ego.