Il tramonto della… Sedicesima Legislatura

Tramonto Prodiano

Circa sessanta anni fa Roberto Ago, uno dei più noti ed influenti giuristi europei del novecento, concepì un’originale classificazione teoretica della scienze sociali, collocando la scienza giuridica nel solco che intercorre tra il comportamentismo e la sociologia. Prendendo in considerazione, oggi, l’analisi dell’ordinamento politico italiano come risvolto empirico di detta scienza, la dottrina di Ago appare più che convincente: i fatti delle ultime settimane, nella loro consequenzialità, riproducono pedissequamente uno dei più classici schematismi socio-politici nostrani. Con la stessa prevedibilità di un esperimento di laboratorio di cui si conosce preventivamente e perfettamente l’esito.


Sarebbe stato a dir poco essenziale porre in essere una minima imbastitura correttiva delle regole attuali, ed invece, la fase declinante del Belpaese si protrarrà nella prossima legislatura, nella quale, qualsiasi risultati daranno i suffragi, si formerà una mappatura parlamentare a dir poco bizzarra. A fronte di una legge che disincentiva fortemente qualsiasi challenging elettorale diverso dal bipolarismo multipartitico, le forze politiche si presenteranno con un assetto fortemente contrastante con i meccanismi appena citati. Una scelta che costringerà ad una salita ripidissima i partiti e che nel contempo potrebbe rendere vano, al fine della stabilità governativa, l’eventuale convogliamento naturale di voti anti-dispersione per le due forze maggiori, quasi certamente costrette ad accordi post-elettorali dai margini ridottissimi di trattativa con le forze minori che riusciranno a superare l’alto sbarramento.

Una sorta di summa di difetti strutturali della Prima e dell’impropriamente detta Seconda Repubblica, cui verrà dato amplissimo risalto, con sommo stupore e disappunto dell’opinione pubblica, solo a giochi fatti, nonostante la prevedibilità desumibile, ad oggi, dalla mera analisi delle regole dell’ordinamento e del peso degli attori politici, individuali e collettivi.

Il nuovo punto di partenza, alla crisi della sedicesima legislatura, sarà ancora quello della legge elettorale. Fino a ieri, il dibattito, si è incentrato su un’analisi comparata dei sistemi d’elezione principali vigenti in quegli stati politicamente compatibili con quel il nostro. Qualcuno ha fatto notare, intelligentemente, che la soluzione della crisi, piuttosto che per l’innesto di un modello francese, spagnolo o tedesco, dovrebbe passare per l’individuazione di.. un modello Italiano. Ma è altresì vero che la comparazione permette di individuare nelle scelte costituzionali degli altri Stati, quelle caratteristiche che più si avvicinano ai principi fondanti del nostro ordinamento, alla luce di oltre mezzo secolo d’integrazione europea transitante anche per siffatte questioni.

L’ultima grossa riforma sistemica, in Italia, è quella che, tramite tre leggi costituzionali approvate tra il 1999 e il 2001, ha riscritto – anche rovesciando alcuni princìpi in tema di fonti di produzione – l’intero Titolo V della Costituzione. Senza scendere nel merito del risultato di tale ristrutturazione, emerge l’evidenza di un tentativo di avvicinamento, che era già in nuce in epoca di Assemblea Costituente, tra la ripartizione di competenze Stato\Regioni in Italia e l’interpretazione europea del federalismo che ha determinato quella tra Stato Centrale e Lander in Germania. In tal senso, quindi, una legge elettorale “tedesca”, sarebbe riconducibile ad una certa continuità con le ultime scelte del parlamento in materia. Continuità che, specificazione inutile, manca totalmente all’Italia, il cui bipolarismo coatto ha prodotto esclusivamente un blocco congiunturale, con cambi di maggioranza votati all’attenuare ovvero far finire in binari morti, le iniziative esperite dagli esecutivi predecessori di colore politico avverso.

Prendere in considerazione il modello elettorale tedesco non significherebbe operare un trapianto di un elemento esterno con tanto di rischio-rigetto, bensì l’inquadramento di un continuum di scelte forti, extra-ideologiche, votate al rafforzamento dell’Unità Nazionale. Sarebbe, altresì, la premessa necessaria alla risoluzione di una serie di anomalie concernenti le più importanti istituzioni repubblicane. Contemporaneamente: l’assenza di un organo di raccordo tra Stato e Autonomie, e la presenza di un bicameralismo paritario e perfetto ormai valutabile come poco funzionale in una democrazia liberale contemporanea. Trasformare la Camera Alta nell’espressione di coordinamento tra poteri, teoricamente considerati paritari dagli articoli 5 e 114 della Costituzione, permetterebbe di risolvere entrambe le anomalie, e, in ogni caso, rappresenterebbe un elemento di unitarietà e coerenza di scelte. Qualcosa di cui, oggi più che mai, il Paese avrebbe bisogno.