Articolo di Andreas
Fatta eccezione per una decina di articoli di analisi sociologica del “fenomeno Grillo”, la maggior parte dei commentatori che si è prodotta in considerazioni intorno al v-day ha lavorato, come a causa di un riflesso condizionato, per trascinare il comico genovese ed il movimento da lui innescato nel gran pantano del dibattito politico, quasi ad esorcizzarne le novità con le forme e l’approccio prima ancora che con i contenuti; il dualismo politica-antipolitica ha ridotto Grillo, nella lettura convenzionale dei più, ad un problema “di palazzo”. In ultima istanza, è stata concessa d’ufficio la dignità di esponente politico, peraltro prossimo a promuovere liste elettorali, ad un “gran comunicatore” che in un pomeriggio di settembre ha convinto 300.000 persone ad apporre la propria firma sotto ad una quantomai sgangherata proposta di legge di iniziativa popolare.
Ma Beppe Grillo ed il grillismo non vivono nello spazio mediatico tradizionale, che viene anzi ostentatamente rifiutato e bollato come semplice componente del sistema da combattere. Dopo che stampa e TV hanno fornito tutte le letture possibili del “Grillo politico”, è forse il caso di contribuire al meno frequentato, ma forse più importante filone giornalistico del Grillo “gran comunicatore”.
Pochi hanno infatti rilevato che in Grillo convivono diverse figure. Si tratta, prima di tutto, di un comico, o di un ex comico, come lascia intendere Maurizio Milani sul Foglio dell’11 settembre, in ogni caso di un uomo da palcoscenico, che sa utilizzare recitazione, registri e linguaggi diversi per parlare di economia, ecologia, politica in forma di spettacolo. Il numero di spettatori alle sue tournée è andato crescendo di anno in anno, fino a prevederne 500.000 entro i prossimi mesi. Un mattatore, insomma, capace di fare il tutto esaurito per la gioia sua e delle strutture che ne ospitano lo show. Nessuno paga un biglietto per assistere ad un comizio, ma piuttosto per uno spettacolo che sia capace di scatenare emozione e riflessione.
In secondo luogo, Grillo è un blogger. Mario Adinolfi su Europa dell’11 settembre, al grido di “non dite che non vi avevo avvertito per tempo”, accenna giustamente al potere di innovazione delle nuove tecnologie nella comunicazione politica, nella costruzione del consenso, nelle forme e nei contenuti di aggregazione e mobilitazione. In realtà, il momento dello spettacolo agisce di concerto con lo spazio digitale. Se gli spettacoli hanno probabilmente contribuito alla creazione di un’opinione pubblica per il blog, adesso è beppegrillo.it a procacciare spettatori per le date delle tournée, il che fa di Grillo un promoter di se stesso, in ultima istanza un pubblicitario, un venditore. Riccardo Ferrazza, sul Sole 24 Ore dell’11 settembre, insieme ad una più documentata analisi del Grillo “fenomeno digitale”, non dimentica di sottolineare come il suo blog sia anche un negozio in rete che ha l’esclusiva per la vendita di libri e DVD degli spettacoli.
Il Grillo politico, opinion maker, “riempitore di vuoti”, nella sua versione elettronica prende quindi le fattezze di uno dei tanti operatori della rete digitale. I risultati conseguiti rivelano un lavoro di marketing probabilmente nient’affatto improvvisato, e ci dicono che la vendita del prodotto-Grillo si avvale del particolare momento attraversato dal contesto di riferimento (la “crisi della politica”), e di alcuni di quei caratteri sociologici o pseudo tali su cui i giornali hanno discettato nei giorni scorsi (come la più o meno fondata teoria dell’essenza anarco-individualista degli italiani). Ma dall’altro lato, Grillo e la sua squadra di giovani collaboratori rivelano una capacità di utilizzare le nuove risorse di comunicazione in modo abile e smaliziato. Nella versione di scrittore di pagine elettroniche, come qualcuno ha fatto notare, Grillo ha saputo reinterpretare il significato più autentico della “forma-blog”: un rapporto uno-a-molti. Un forum o una chat presuppongono un dialogo fra pari, nel blog invece, è colui che compare nella barra degli indirizzi il “capo”, con il quale l’utente ha la possibilità di concordare, discordare, completare i contenuti, senza però metterne in discussione l’autorità. Ebbene, da strumento di proposta di se stessi, da momento di condivisione di interessi e “sfogatoio personale” per grafomani, (come era il blog “delle origini”), Grillo ha fatto di questo veicolo lo “sfogatoio” per centinaia di migliaia di persone, e su tale caratteristica ha costruito la propria fortuna. Impossibile leggere i commenti degli utenti (da molto tempo ben oltre il migliaio, intorno ai duemila dopo il v-day) alle parole quotidiane di Grillo; ciò che conta ai fini dell’obbiettivo del blogger, è che le prime decine di questi, cioè quelli leggibili dal navigatore, siano peana al gran capo, inframmezzati da blande critiche, per lo scorno di tutti coloro che si vedono censurati e che sono costretti a manifestare il proprio pensiero in altri spazi digitali, solitamente molto meno frequentati. Il popolo del blog diventa quindi una ridda di voci più o meno stizzite a cui Grillo non risponde mai, che assolve alla funzione di costruire, semplicemente con il numero, consenso su di lui e dissenso dagli oggetti dei suoi strali. Si innesca quindi un meccanismo di condivisione di frustrazioni, e chissà, anche di presa di coscienza collettiva. In molti postano commenti premettendo che finalmente hanno trovato su beppegrillo.it il proprio spazio, quel che cercavano e che mancava loro. Si tratta di una reazione sulla quale da molto tempo vengono costruite le campagne pubblicitarie: mettere il consumatore nelle condizioni di ritenere necessario il prodotto per pure ragioni di status sociale, di gratificazione personale. La distanza fra la creazione di nuove necessità e la soddisfazione di quelle esistenti, nei meccanismi della comunicazione di massa, si riduce fortemente. Quindi, se da un lato Grillo dice “quello che la gente dice o che vuol sentirsi dire” in forma di invettiva e con linguaggio popolare, dall’altro mette a disposizione contenuti di controinformazione più o meno corretti, suscitando prese di coscienza che alimentano il meccanismo del consenso. Da qui, il blog e gli spettacoli come veicolo per il lancio di campagne di forte impatto.
A loro volta, le campagne di Grillo si compongono di diversi elementi. In sede di presentazione del problema, specie durante gli spettacoli, Grillo propone analisi che rendono conto di una realtà “alla catastrofe”. Successivamente, con un secco cambio di ritmo e la creazione di aspettativa nel pubblico, il mattatore presenta la sua soluzione, frutto dei contatti con intellettuali ed esperti del settore che collaborano con lui. Si tratta solitamente di soluzioni estremamente concrete e tangibili, “che si toccano”, e quindi facilmente comprensibili: dalla macchina a idrogeno alle case indipendenti dal punto di vista energetico, fino alle banche etiche.
A ciò, segue il momento dell’azione, del lancio vero e proprio della campagna: dal tentativo di portare in Telecom un cartello di piccoli azionisti, con l’illusione di influire concretamente nella politica aziendale abbinata alla catartica invettiva vis à vis ai dirigenti, alla “colletta” per l’acquisto del microscopio per lo studio delle particelle sprigionate dai termovalorizzatori, strumento del quale due ricercatori dell’università di Modena erano stati privati, fino al recente “parlamento pulito”, con la famosa proposta di legge di iniziativa popolare.
La strategia di Grillo contribuisce però a innovare in modo profondo e decisivo le modalità di partecipazione alla politica. Se la formula venne già utilizzata dai sostenitori di Howard Dean, gli “Amici di Grillo” sfruttano una risorsa già esistente come meetup.com ampliandone le potenzialità ed esaltando la creatività dell’utente. Il sito americano dà la possibilità di costituire gruppi a livello locale in ogni città del mondo, aprendo “stanze di ritrovo” a seconda degli interessi individuali. Un passo avanti importante rispetto a forum, chat e mailing list, carenti nell’individuazione “preventiva” degli utenti dal punto di vista territoriale e quindi molto più “virtuali”. Con 50.000 iscritti presenti in 208 città di 22 paesi del mondo, oggi i Beppe Grillo Meetups appaiono in testa ai top interests nella home page di meetup.com, seguiti, tanto per dare l’idea della utilizzazione dello strumento in un contesto diverso da quello per il quale era stato creato, dai Book Club Meetups, Chihuahua Meetups e dai Democratic Party Meetups, che precedono però i meno imprevisti Dungeons&Dragons Meetups.
Si è creata nel giro di mesi una rete sul territorio disomogenea, a macchia di leopardo, ma talvolta molto capillare, per la quale qualunque partito politico avrebbe speso energie e tempo. E’ una rete fortemente dipendente dal centro, a questo strettamente legata dalla fedeltà al capo degli elementi più esperti e dalla scarsa pratica con le cose politiche dei neofiti, e corroborata da una forte carica di dinamismo ed entusiasmo. In altre parole, il partito sognato da qualunque leader politico. E’ questa la struttura che ha permesso l’organizzazione del v-day, una grande manifestazione per la quale partiti e sindacati avrebbero utilizzato eserciti di quadri e amministratori locali, ed è la stessa che adesso si tradurrà in liste elettorali per le elezioni amministrative, nei modi in cui il capotribù indicherà dal suo antro digitale, quel beppegrillo.it che ambisce a diventare un brand estremamente spendibile sul mercato politico, come sinonimo dei requisiti basilari richiesti dai cittadini di ogni tendenza al ceto politico-amministrativo: onestà, coerenza, concretezza, capacità di decidere.