Nell’ultimo mese abbiamo assistito ad un crescendo di avvenimenti: la nascita del partito democratico (14 ottobre), il disfacimento finale dell’Unione (sulla finanziaria, alla camera come al senato) e della Casa delle Libertà (rottura definitiva tra An, Udc e FI) e per finire la nascita, improvvisa quanto spettacolare, del Partito del Popolo (18 novembre, da qui in avanti semplicemente PB, Partito Berlusconiano). Ma il terremoto che ha fatto deflagrare il sistema politico italiano ha preso avvio all’inizio dell’anno, con la prima crisi del governo Prodi e l’inizio del processo costituente del Partito Democratico, e affonda le sue radici nella crisi irreversibile della stagione politica nota come Seconda Repubblica, 15 anni in cui il paese è rimasto ostaggio della contrapposizione artificiosa tra una coalizione “comunista” ed un “berlusconiana”
Il 2007 dunque, come già capitato al 1992, sarà ricordato come l’anno della svolta: lo sbriciolamento della Seconda Repubblica, sulle cui ceneri inevitabilmente nascerà la terza.
E’ pertanto estremamente attuale domandarsi come sarà la Terza Repubblica. Molti osservatori hanno visto in questi anni nella seconda repubblica, null’altro che la prosecuzione della prima in una sorta di transizione incompiuta che non ha prodotto i risultati sperati. Oggi è quindi fondamentale interrogarsi sugli elementi necessari a far sì che l’evoluzione del sistema politico si compia davvero e l’Italia inizi ad essere una democrazia efficiente, in cui gli elettori possano essere rappresentati ed effettivamente in grado di determinare le politiche del paese attraverso un sistema partitico in grado di produrre “buona politica”.
Tre sono gli elementi che è opportuno considerare per giudicare lo stato della transizione in atto e la sua destinazione finale: gli attori che si confrontano, le strategie da loro utilizzate e le regole del gioco politico in cui si confrontano.
Dal punto di vista degli attori in gioco, ovvero i partiti politici, possiamo distinguere tre ulteriori aspetti: la forma partito, l’identità politico-culturale e la leadership. E’ evidente che una rivoluzione è in atto. Nello schieramento di sinistra molti dei vecchi partiti sono scomparsi (Ds Margherita Sdi) o stanno per scomparire (PRC, Pdci e Verdi) e nuovi soggetti politici appaiono sulla scena (il Pd, il Partito Socialista, e forse anche un Partito comunisteggiante), in quello di destra il rinnovamento è più marginale con il cambio di nome del partito di Berlusconi e la nascita del movimento di Storace. Più indietro siamo invece per quanto riguarda il rinnovamento della leadership, dove l’unica parziale novità è rappresentata dalla ascesa di Veltroni al trono del PD (Berlusconi sta combattendo per riuscire a traghettarsi nel futuro mentre Prodi è e rimarrà prigioniero di una coalizione che non esiste più). Negli altri partiti o cantieri ancora tutto tace.
Anche da un rapido sguardo alla situazione degli attori politici (e attuando necessarie semplificazioni) è possibile scorgere i due possibili destini della nuova stagione politica: il PD e il PB si prefigurano come partiti “liquidi”, leggeri, con una forma partito “all’americana”, un’identità politico-culturale sfumata e una leadership molto forte. Gli altri partiti (esistenti o nascenti come il PS) presentano identità più marcate, forme partito più tradizionali (e più europee) e leadership più vincolate.
Anche per quanto concerne la strategia attuata dai vari soggetti in campo sono facilmente individuabili due prospettive alternative. A parole quasi tutti gli attori (tranne il vecchio Prodi e l’incauto Fini non a caso bastonato da Sartori nel fondo sul Corriere del 28 novembre) sembrano voler passare dall’ottica maggioritaria di un confronto tra coalizioni a quella proporzionale di una lotta tra partiti. Mutamento questo, indubbiamente collegato alla necessità di pesare la consistenza dei vari competitors nel nuovo scenario. Sbaglia però chi pensa che con la scomparsa della logica di coalizione venga meno anche il bipolarismo che è, de facto, una caratteristica strutturale degli elettorati dei regimi democratici. Quello che si sta dissolvendo in queste ore è il cosiddetto “bipolarismo bastardo” che con grande lungimiranza noi socialisti abbiamo da tempo individuato come il vero ostacolo al dispiegarsi di efficaci strategie politiche. Non resta dunque che sperare che i partiti si dirigano ora senza indugio verso un bipolarismo dei contenuti, in cui ad affrontarsi siano diverse soluzioni agli atavici problemi che affliggono l’Italia.
Tuttavia è possibile e da non sottovalutare anche un’altra, nefasta, evoluzione, non auspicata apertamente da nessuno ma che trova il suo riscontro nella nascita e nelle caratteristiche per ora solo tratteggiate di PD e PB: un sistema bipartitico. E’ fondamentale considerare l’ipotesi che Veltroni e Berlusconi possano felpatamente convergere verso la tattica del fumo negli occhi per arrivare al referendum, o più probabilmente a una riforma elettorale che favorisca un’evoluzione di questo tipo (il “Vassalum”).
Per quanto concerne le regole del gioco tutto è ancora immobile, ed è il vero nodo da risolvere per poter finalmente decretare la nascita della terza repubblica. Se finalmente sembra esserci un consenso di massima sul modello elettorale tedesco, da diverso tempo c’è un comune sentire sulle riforme istituzionali, dalla fine del bicameralismo perfetto al rafforzamento dei poteri del premier. Tutto sta però a portare a termine ciò che sembra davvero ad un passo, senza dimenticare che con il referendum di primavera lo spettro del bipartitismo si manifesta anche nero su bianco.
In questo contesto sarebbe davvero auspicabile che il Partito Socialista inizi a cavalcare l’onda del rinnovamento smettendo di navigare a vista. Al congresso un ricambio della classe dirigente e un rinnovamento della forma partito (non in senso “americano”, ma in trasparenza delle decisioni e democrazia interna per ridare valore al ruolo dei militanti, la rivoluzione delle commissioni tematiche aperte ai cittadini che garantiscano un’elaborazione culturale continua ormai impossibile per il PD); nell’immediato un mutamento netto di strategia, e un’azione incisiva per portare a termine le riforme elettorali e istituzionali.
Esigenze queste, da realizzare non solo per emergere nell’agone politico, ma anche per iniziare a dare battaglia al vuoto ideale e culturale dei due (attualmente) maggiori partiti (PD e PB).
Nel breve periodo dovremo dunque adoperarci con tutte le nostre forze per disinnescare il referendum sulla legge elettorale e condurre in porto la riforma elettorale mentre nel lungo periodo porteremo l’onore e l’onere di dare battaglia a quella che si prefigura già come la nuova anomalia italiana della da noi auspicata terza repubblica: due giganteschi pesci fuor d’acqua nati per nuotare nel lago stagnante del bipartitismo all’italiana e finiti (si spera) ad annaspare nell’impetuoso fiume del proporzionale.
Dunque non resta che rimboccarsi le maniche per andare, con la ragione e col cuore, sempre avanti!