La moratoria degli antiliberali

Riguardo alla moratoria sull’aborto di Ferrara e Ruini, ancora una volta la questione cruciale è quella della libertà. Quella stronzissima cosa che è la libertà.

Spesso la scelta di abortire è una scelta tra due soluzioni dolorose. Perdere un possibile figlio oppure trovarsi davanti una vita d’incertezza per entrambi. In quel caso uno stato rispettoso, pietoso (nel vero senso di quella pietas di cui tanto si riempie la bocca quel vecchio antiliberale di Ferrara) sa che l’ultima scelta spetta al cittadino, e si fa da parte.
La concezione di tanti antiliberali, come Ferrara o Ruini, prevede invece un’altra cosa. Prevede che sia lo Stato – o meglio, lo Stato su indicazione di una “autorità altra” deputata a decidere su queste materie, perché detentrice del monopolio delle “questioni etiche” – a decidere di questo.

E’ una follia antiliberale che, mi dispiace, non può essere tollerata. Di fronte ad una scelta difficile e tragica – ed a maggior ragione proprio perché si tratta di una scelta difficile e tragica – lo Stato deve farsi da parte e rimettere alla responsabilità del cittadino la decisione di ultima istanza. In questo caso, poi, non è nemmeno lo Stato a doversi fare da parte, ma quelle autorità spirituali che vorrebbero imporre il proprio magistero in forza della debolezza dello Stato medesimo.

Lo Stato può mettere in atto tutte le misure ritenute opportune per rendere meno tragico possibile l’esito di quella scelta. Per questo ben vengano i consultori, ma via le suore da quei consultori. Anche su questo dobbiamo chiarirci. Altrimenti perché non metterci dentro degli sciamani, delle mammane oppure dei monaci buddhisti (io gradirei quest’ultima opzione). Nei consultori ci stiano medici, infermieri, psicologi, persone qualificate, non altri.

Se poi, infine, la polemica stupida e cretina del Ferrara utilizza l’argomento strumentale del fatto (poiché è un fatto) che tanti ricorrono all’aborto in maniera eccessivamente superficiale, allora a maggior ragione lo spirito di un liberale si deve indignare; perché riconosce la puzza marcia della critica e della retorica giacobina. La retorica di coloro che sostengono che siccome il volgo non è in grado di decidere per sé, ha bisogno di qualcuno che decida per lui … e poco importa se quel qualcuno è il Papa o il podestà.
Il giacobino non chiede che il volgo sia educato, non vuole che sudditi diventino cittadini, proprio in forza della responsabilità che la libertà impone. Anzi, sogna che rimangano sudditi e sempre più obbedienti, sempre più “gregge” per pastori.