Per un Change socialista

1412954910_23f5ae7767_o.jpg«Change! Change! Change! » è la parola chiave delle primarie democratiche Americane. Parola soprattutto usata dai due candidati favoriti; Hillary Clinton e Barack Obama. Penso che tutti lo possano riconoscere già: la competizione fra una donna è un nero rappresenta un segno di cambiamento profondo nella società americana. E’ stato proprio Obama in un comizio a prendere la parola disegnando un percorso politico che ruota tutto attorno a questa parola-messaggio, facendo notare che: «l’era di Karl Rove è finita», riferendosi allo stratega delle vittorie di Bush nel 2000 e 2004, perché «è ora di creare un nuovo corpo elettorale», non più diviso a metà fra democratici e repubblicani, ma accomunato dalla convinzione che «non c’è destino che il popolo americano non possa creare». Per concludere che «la speranza» è il «vettore del cambiamento»: dove «speranza significa immaginare e lavorare per qualcosa che prima si pensava impossibile».
È proprio con queste parole che voglio incominciare a parlare del “caso” Italia, che a noi socialisti, da circa sedici anni, ci preoccupa molto. Cioè dalla data dello scioglimento del grande partito che univa tutti i laici e i socialisti, e non solo, d’Italia. Lo credo fortemente: la costituente del Partito Socialista è oggi l’occasione buona, forse anche l’ultima, per ridare «la speranza» non solo a tutti i laici e i socialisti di vecchia data, ma anche, e soprattutto, a tutti quelli di oggi e di domani, cosa di cui credo di essere una testimonianza.

Ma per far sì che il PS abbia successo, c’è il bisogno di applicare solo una parola-manifesto; change, cioè cambiamento. Questa trasformazione non è solo rivolta alla società italiana, è soprattutto indirizzata alle “gerarchie” (parola ingiusta e inadeguata, forse, ma credo utile per rendere la mia idea) del nostro nuovo partito, in vista di un rinnovamento generazionale. Si può prendere spunto dalla storia dei nostri amici e compagni spagnoli del PSOE, che ben due volte hanno conosciuto questo rinnovo generazionale. La prima nell’ottobre del 1974, durante il XXVI congresso celebrato in Francia, quando un gruppo di giovani militanti guidati da Felipe Gonzàlez prese in mano il partito. La vecchia guardia socialista, cresciuta nel franchismo e soprattutto nella clandestinità, cedette il testimone e si fece da parte. Questa iniezione di energie fresche, in breve tempo, diede forza e determinazione al partito, lo svecchiò e gettò le fondamenta per la rinascita del socialismo spagnolo. La seconda nel 2000, con l’avvento di Zapatero, quando questi riuscì, con il suo progetto di «cambiamento tranquillo», a riportare il partito allo splendore di un tempo, quello che non conosceva più da ben otto anni. Ecco: se noi seguiamo questa via, come dimostra la storia spagnola, potremmo raggiungere un bel risultato.
Un altro punto su cui vorrei soffermarmi è la questione “in rosa”, cioè la questione femminile nel partito. Non ho dubbi: bisogna ristabilire il principio della parità dei sessi per proiettare le donne al centro del progetto della nuova Italia che vorremmo proporre. Esattamente come ha fatto Zapatero nel suo governo con otto donne e otto uomini. Quando invece in Italia l’auto determinazione delle donne conquistata anche con la legge 194, è messa seriamente in discussione: noi socialisti, come nel resto dell’Europa, dobbiamo essere in prima linea dagli attacchi oscurantisti delle gerarchie ecclesiastiche. Perché quella «speranza» che dicevo prima, di dare all’Italia un grande forza laica, riformista ed europeista quindi socialista –quell’Italia che ne ha tanto bisogno- non è più così tanto lontana.