articolo di Andrea Pisauro e Alessandro Lovato
Una crisi di sistema
Vi è oggi in Italia una crisi profondissima, che si manifesta in moltissimi ambiti: ad una crisi economica che sta portando a un progressivo impoverimento dei ceti medi si accompagna la crisi produttiva e industriale di un paese che non riesce a stare al passo con la globalizzazione, con le sfide lanciate dai paesi emergenti. Vi è una crisi sociale, venendo a mancare la necessaria solidarietà tra le classi, le categorie professionali, le regioni; una crisi del sistema di valori, al centro del più generale scontro tra una visione laica e una religiosa; una crisi di credibilità delle istituzioni, della politica come del sistema mediatico. Tutte queste crisi hanno una causa comune, che è la crisi del sistema politico nel suo complesso, che si manifesta in un’incapacità ormai cronica di governare.
Delle cause
Per poter affrontare e risolvere questa situazione di crisi è ineludibile affrontare la questione delle cause che hanno portato a questo stato di cose. La crisi del sistema politico è prima di tutto una crisi del suo assetto: la seconda repubblica, con l’artificiosa contrapposizione tra “berlusconiani” e “comunisti”, ha fallito miseramente il suo compito. La politica semplicistica fatta di slogan pubblicitari, la politica del tornaconto immediato per i soliti noti, ha inoltre contribuito all’allontanamento delle persone dai partiti e dal governo dello Stato.
Ma vi è anche un enorme problema con la qualità del personale politico, impreparato, inadeguato ed incapace almeno quanto pacchiano e incivile durante le sedute del Parlamento, espressione stessa della democrazia. Questo non riguarda solo la politica, è la classe dirigente tutta che è incapace di condurre il paese fuori dalle secche. Si pone un enorme problema di selezione della classe dirigente. C’è bisogno innanzitutto di un’onesta presa d’atto della situazione che non può non partire dalla politica, quella vera, quella fatta di discussioni costruttive per quanto accese, fatte all’interno dei circoli dei partiti. Si deve fuggire fin d’ora la tentazione (già dimostratasi vana con tangentopoli) di cambiare le cose abbattendo il sistema politico dall’esterno. Per questo è necessario e auspicabile chiedere alla magistratura di procedere anche con determinazione nell’attività inquirente ma con la necessaria cautela per gli effetti politici che dalla sua opera potrebbero risultare.
La rivoluzione meritocratica
Per affrontare il nodo della selezione della classe dirigente non si può non partire da un’ovvia considerazione: nei momenti difficili bisogna tirare fuori il meglio. E allora la crisi deve essere il motore di una rivoluzione meritocratica che dalla sana competizione faccia emergere una nuova classe dirigente. Per quel che concerne la politica questo comporta due cose. Democrazia nei partiti, per rinnovare il personale politico tramite l’utilizzo di elezioni primarie e congressi a mozioni, e modifica dell’assetto generale del sistema politico per permettere l’emergere delle istanze di rinnovamento: c’è bisogno di un sistema multipolare, in cui pochi partiti (ma più di due) competano per il governo del paese. E’ importante perchè questa competizione non sia fittizia che coinvolga anche partiti potenzialmente alleati. In una situazione di crisi le istanze di rinnovamento possono provocare grandi mutamenti dei rapporti di forza. Abbiamo bisogno di un sistema il più aperto possibile al nuovo. I cittadini inoltre, devono essere coinvolti nella vita politica, devono essere responsabilizzati. Chi si sente rappresentato riesce a sostenere i sacrifici della vita di tutti i giorni, perché in quei sacrifici crede. Questo darà il via alla vera rivoluzione meritocratica, una gara al fare di più perché si è scelto di fare di più, perché si ha la consapevolezza di arrivare a qualcosa di buono.
Un’agenda per uscire dalla crisi
Non si può non partire dal nodo delle riforme istituzionali e dalla legge elettorale. Bisogna scrivere un nuovo inizio ed è giusto che questo sia accompagnato dalla riscrittura delle regole del gioco politico. Fondamentale sembra una semplificazione della legge elettorale; probabilmente il proporzionale con indicazione delle preferenze e una ragionevole soglia di sbarramento è il sistema migliore. Chi vota deve sapere a chi va il proprio voto, deve sapere chi lo rappresenta, sempre nell’ottica della responsabilizzazione.
Al secondo punto c’è la questione salariale e il problema del lavoro. C’è bisogno di politiche redistributive di defiscalizzazione del lavoro dipendente. Tramutare la precarietà in flessibilità tramite misure di flex-security.
La crisi del sistema produttivo: liberalizzazioni a partire dal sistema bancario, aumento della tassazione delle rendite finanziarie per favorire gli investimenti.
Lotta al corporativismo: questo è un paese che va liberato dalla logica dell’appartenenza, dell’amico dell’ amico, del “sistema di potere”. La stella polare della meritocrazia va esportata a tutti i campi della società: non conviene a nessuno, nemmeno agli stessi raccomandati, occupare posti che non meritano.
Riforma della giustizia come cardine del recupero della credibilità delle istituzioni. Separazione delle carriere, responsabilità civile dei magistrati e stop alle carriere per anzianità.
Riforma del sistema educativo: scuola e università sono i propagatori di una crisi che rischia di perdurare. Bisogna prendere di petto la questione ed andare a colmare le deficienze maggiori. I giovani vanno preparati ad un mondo più complicato, in cui la sola possibilità di affrontare la competizione mondiale sta nelle conoscenze, soprattutto scientifiche. Gli ignoranti di oggi non serviranno nella società di domani; anzi, contribuiranno al ripetersi di errori che si possono definire “storici”.
Diritti civili: questo è forse il tema più delicato in quanto trascende i contorni della crisi italiana e assume i connotati di un conflitto ideologico che riguarda più in generale la società moderna. E’ auspicabile l’apertura di un dibattito franco nella società sull’utilità e il significato di alcune scelte fondamentali di inizio e fine vita, e sulle altre questioni eticamente sensibili. Al di là delle scelte di campo, abbiamo bisogno di un dibattito pubblico e di una condivisione democratica dei problemi, per farlo però è necessario uscire dalla politica degli slogan. Questo non significa però siano possibili arretramenti su conquiste sociali raggiunte come la legge sull’aborto, o da raggiungere come, ad esempio, il riconoscimento delle coppie omosessuali.
Non bisogna aspettare che il cambiamento venga dall’alto; c’è un urgente necessità di impegno politico e sociale di tutti i cittadini. Non è il momento di tergiversare, ma di trovare le soluzioni migliori, alcune ovvie altre da ricercare, ai problemi che ci affliggono. Se non lo si fa ora, dopo sarà troppo tardi…