Prodi ha combattuto ed è caduto: ora cada la testa del pavido Boselli

Romano

Con la caduta del Governo Prodi è finita quell’esile ed instabile maggioranza di Centrosinistra denominata Unione. La Costituente Socialista si trova spiazzata rispetto ad uno scenario che precipita verso le elezioni anticipate. La prospettiva più probabile è quella del voto che si terrebbe con l’attuale legge elettorale. Appare infatti altamente improbabile convincere Berlusconi ad accettare una soluzione che rimandi un vittorioso ritorno a Palazzo Chigi. Nel Centrosinistra dovrebbe essere fatta una profonda autocritica, ma pare che prevarrà, ancora una volta, la chiamata alle armi per fare fronte comune contro il redi-vivo berlusconismo. Verrebbe da dire che chi è causa del suo male può solo rimproverare se stesso.


Alle elezioni del 2006 la polpetta avvelenata del Porcellum aveva prodotto al Senato un risultato di sostanziale parità sul piano dei numeri. Sopravvalutando il risultato elettorale si evitava ogni confronto con l’opposizione di Centrodestra e si forzava la mano per eleggere le massime cariche dello Stato in solitaria. La legislatura si apriva con una palese violazione della legge: si negava illegittimamente l’elezione di tre senatori della Rosa nel Pugno, una decisione che col senno del poi avrebbe pesato sulle sorti del Governo Prodi. La decisione avallata dalle maggiori forze politiche e sottovalutata in particolare dal Centrosinistra, negava una rappresentanza di matrice socialista e riformista e privava il Governo dell’appoggio di forze leali e ragionevoli: per dirla con uno slogan si preferiva Turigliatto a Pannella. La questione veniva definitivamente sepolta con un voto bipartisan di Pd e Forza Italia in Commissione per le elezioni senza neppure passare dall’aula del Senato. All’estrema sinistra si gongola al pensiero dell’affrancamento dalle responsabilità di governo che lasci le mani libere per una irresponsabile politica massimalista ed inconcludente. Nel Partito Democratico è forte l’ipotesi di abbandonare la mediazione al ribasso e spingere per una forte proposta riformista ben sapendo che, finite le ideologie molto del risultato si gioca in campagna elettorale.
In questo schema politico i socialisti rischiano di risultare del tutto marginali colti impreparati anche considerato come la loro azione politica sia apparsa, fin qui, insufficiente, statica e poco visibile. Se i socialisti nessuno se li fila è dovuto al fatto che tutti sanno che qualunque cosa dicano non hanno il coraggio di trarne le conseguenze sul piano del comportamento parlamentare. Anche quando con il progetto di Costituente si è dato vita ad un gruppo al Senato non si imposto all’agenda politica alcuno dei temi sbandierati come qualificanti, cosa che è riuscita perfino a Dini con i suoi tre senatori.
La dirigenza socialista ha mancato di battere un colpo laddove la cronaca imponeva prese di posizione coraggiose: in Campania non si è neppure ritirato i propri assessori dalle giunte regionali e comunali sommerse dallo scandalo della monnezza. Con Boselli e Villetti abbiamo finito per essere considerati irreversibilmente residuali, privi di significato e di prerogativa politica. La Costituente socialista deve affrontare il proprio destino partendo dalla messa in discussione dei suoi dirigenti, per ribaltare un corso degli eventi politici che rischia di metterci definitivamente all’angolo.