L’Italia e i suoi fardelli economici. Alcuni spunti programmatici

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Per gettare solide basi per una crescita economica seria e duratura è corretto soffermarci sul principio ispiratore dell’azione riformatrice.
L’Italia soffre di un’eccessiva pressione fiscale, di un debito pubblico enorme, di una spesa pubblica troppo spesso inefficiente e non in grado di tutelare le fasce più deboli della popolazione. La spesa pubblica deve essere sia tagliata nelle sue mutevoli e numerose inefficienze, ma anche reimpostata per essere veramente da supporto ai meno abbienti. La scuola, l’università, la sanità, la ricerca scientifica, la sicurezza sono temi fondamentali che abbisognano non solo di ingenti fondi ma anche di una più oculata gestione delle risorse finanziarie.

La migliore gestione della spesa pubblica è di vitale importanza anche per il fatto che sull’economia italiana grava come un macigno un enorme debito pubblico che tarpa le ali a qualsiasi spinta economica. Da ogni statistica che mette a confronto la crescita italiana con quella internazionale, in primis europea, risulta palese come i nostri tassi di crescita siano costantemente inferiori. L’ultimo dato ci vede come fanalino di coda della crescita europea. Secondo l’ultime stime della Commissione europea il Pil italiano nel 2008 crescerà soltanto dello 0,7%. Rispetto a quanto previsto in autunno si tratta di un taglio secco del 50%, ben più della discesa dell’area euro, anche perché nel quarto trimestre 2007 l’Italia dovrebbe segnare il passo con crescita pari allo zero o anche inferiore (-0,2%). L’inflazione aumenterà del 2,7% (stima precedente 2%). Meno crescita e più inflazione è questo il quadro italiano. Risultano quindi ridicole tutte queste promesse elettorali di tagli alle tasse e investimenti in opere pubbliche. Ma dove li prendiamo i soldi? Se non è chiaro l’Italia è ultima rispetto a tutti i grandi: (Germania: +1,6% il Pil e +2,3% l’inflazione: Francia +1,7% il Pil e +2,4% l’inflazione; Spagna +2,7% il Pil e +3,7% l’inflazione)

Scontiamo un ritardo strutturale accumulato negli anni, che per essere superato, richiede uno sforzo programmatico e politico non indifferente.
Data la complessità dell’architettura di un moderno Stato, è fondamentale che ogni attore che recita un ruolo nel teatro sociale, economico, politico ed istituzionale venga coinvolto e soprattutto venga chiamato ad uniformarsi alle linee politiche principali. Non possiamo tagliare la spesa pubblica a livello centrale per poi avere continui sprechi a livello locale, non possiamo lamentarci di salari eccessivamente bassi e tasse molto alte, per poi vedere aumentare il costo dei biglietti ferroviari senza un miglioramento della qualità del servizio. Tutti sono chiamati a marciare verso una direzione, tutti gli attori devono avere lo stesso obiettivo di fondo.

Obiettivo fondamentale resta comunque l’abbattimento del debito pubblico. L’aggressione a questa montagna però non può passare solo attraverso una politica dell’entrate, ma deve passare anche e soprattutto su una politica delle uscite. L’Italia ogni anno paga più di 70 miliardi di euro per interessi sul debito, un’enormità. È impossibile pensare di uscire dal pantano in cui ci troviamo con una zavorra di queste dimensioni. Il dato diventa addirittura più preoccupante nell’analizzare la politica monetaria della BCE, che, non tagliando i tassi d’interesse, sta prediligendo una bassa inflazione ad un’espansione economica. Nell’impostazione di Phillips, secondo la nota curva, si tratterebbe di una politica conservatrice (intesa come opposta a quella di sinistra che predilige salari più alti con uno tasso dell’inflazione più alto). L’ossimoro italiano vuole poi una riduzione del Pil, un aumento dell’inflazione, una stagnazione degli investimenti e dei salari. Un caso da manuale di politica economica. Tornando al debito pubblico, la strada maestra per il suo abbattimento è sicuramente quella della riduzione della spesa pubblica, laddove si annidano inefficienze, sprechi, mala gestioni. Bastano percentuali esigue per accumulare una grossa quantità di fondi.

Non si tratta di tagliare la spesa sulle auto blu, ma di ridisegnare lo Stato, le sue funzioni, i suoi obiettivi, le sue azioni ispiratrici. Ancora ho difficoltà a capire il perché i Comuni devono avere quote in società che gestiscono di tutto e di più, dagli aeroporti all’acqua, dalla riscossione dei tributi alla manutenzione degli spazi verdi. Partendo da questo dato di fatto, e dalla capacità di recuperare risorse dalla lotta all’evasione fiscale e alla criminalità organizzata, l’Italia deve essere investita da una forte riduzione della pressione fiscale che ha ormai raggiunto livelli di guardia. Questo dato diventa a volte imbarazzante per un paese che si dice progredito se si pensa a ciò che i cittadini ricevono in cambio: scuole fatiscenti, ospedali inefficienti, sistema giudiziario sempre e costantemente in ritardo, treni sporchi e costantemente in ritardo e via dicendo. Non dobbiamo mettere in discussione il dovere di pagare le tasse, dobbiamo solo pretendere che la pubblica amministrazione eroghi servizi pubblici efficienti che sono lautamente pagati dai cittadini contribuenti.
Il lavoro inteso sia come subordinato che autonomo deve essere incentivato e valorizzato superando definitivamente vecchi schemi che la storia ha relegato in un angolo. Molti giovani, per scelta o per necessità, abbracciano l’attività autonoma e spesso si scontrano con meccanismi farraginosi che ne ingessano le potenzialità. È giunto il momento di invertire la rotta. A chiunque deve essere data la possibilità di crescere, di migliorare la propria condizione di vita. A chiunque deve essere data la possibilità di competere e di arricchirsi con il proprio lavoro.

Troppi sono gli italiani che emigrano all’estero perché nel proprio paese non hanno possibilità di esprimere al meglio le proprie potenzialità. Troppi i ragazzi del Sud Italia che abbandonano le proprie famiglie non per scelta ma per necessità. Una vergogna italiana riguarda quei ricercatori, nei campi più disparati delle scienze, della tecnologia, delle arti, che convivono con bassi stipendi, con la precarietà, sotto il protettorato di baroni universitari che ne tarpano le ali, le ambizioni, i sogni. Non possiamo permettercelo. Uno Stato che non investe nell’istruzione, nella ricerca scientifica, nelle università è uno Stato miope e bigotto. Il lavoro va incentivato e valorizzato senza distinzione di sorta, è questa la vera rivoluzione economica, in quanto non è più tollerabile accettare piccole rendite di posizione che ingessano il sistema paese. Lavoro vuol dire sacrificio, dedizione, impegno, rinuncia per ricevere in cambio una somma di denaro che permetta di soddisfare i bisogni e di risparmiare. Oggi chi lavora ha grosse difficoltà ad arrivare alla fine del mese. Molti lavoratori, pur lavorando, si sentono poveri, insicuri, pessimisti. La ragione di ciò risiede anche nel fatto che si è perso di vista il valore reale delle cose.

Troppo spesso, volutamente o inconsciamente, si parla di valore nominale, tralasciando di fatto il valore reale di quella somma di denaro. Mille euro al mese possono essere tanti se il prezzo della benzina fosse più basso, se i costi di un conto corrente bancario fossero inferiori, se il prezzo della frutta e verdura non aumentasse in modo esponenziale negli infiniti passaggi tra produttori e venditori, se il prezzo del latte, degli omogeneizzati, delle pappette o dei pannolini fosse più basso. Mille euro al mese possono essere tanti se in caso di malattia non avessi la necessità di ricorrere ad un medico privato per farmi curare perché nelle strutture pubbliche, che i lavoratori contribuenti finanziano con le imposte e tasse, non c’è posto. Mille euro al mese possono essere tanti se il costo della vita non fosse improvvisamente schizzato alle stelle dopo l’entrata dell’euro a dispetto di tutte le statistiche ufficiali. Forse se si è scelta a ragione un’economia di mercato, sarebbe giusto farla funzionare secondo i dettami che gli sono propri, concorrenza, meritocrazia e premialità per chi lavora. Per questo una corretta ed equa tassazione incentiva il lavoro e non la rendita speculativa.

Se pensiamo che in dichiarazione dei redditi è possibile scaricare le spese per il veterinario, o le spese per la palestra, allora qualche proposta qui in seguito può avere senso.

Riduzione dell’Iva sui prodotti dell’infanzia
A titolo esemplificativo e non esaustivo: Iva sui pannolini, biberon, latte, pappette, omogeneizzati. Troppo spesso la nascita di un figlio si trasforma in un salasso economico per le famiglie. In un periodo di economia stagnante, di insicurezza sociale, di costi elevati, di un bassissimo tasso di natalità e di un progressivo invecchiamento della popolazione, lo Stato dovrebbe rinunciare ad una parte degli introiti IVA al fine di favorire quelle famiglie che mettono al mondo un bambino. Essendo l’IVA un’imposta indiretta che per sua natura è pagata indistintamente dai più abbienti ai meno abbienti, una sua riduzione favorirà le famiglie meno agiate.

Aumento delle detrazioni sui mutui per l’acquisto della prima casa nei primi 5 anni
In Italia è applicato quasi esclusivamente il piano d’ammortamento alla francese che prevede il pagamento di una quota consistente d’interessi nei primi anni. La quota interessi tende a diminuire nel corso del tempo mentre inversamente tende ad aumentare la quota capitale, ovvero la riduzione del debito. Per favorire le giovani coppie che vogliano acquistare una casa, proponiamo l’elevamento della quota di detrazione sugli interessi del mutuo dal 19% al 30% nei primi 5 anni. L’innalzamento di questa quota di detrazione permetterà ai debitori di poter avere rimborsi fiscali più elevati, e con essi le risorse aggiuntive per pagare le rate di mutuo. Sarebbe una politica da attuare nel breve periodo alla luce delle note vicissitudini finanziarie ed economiche: crisi dei subprime, rialzo dei tassi d’interesse, prezzi delle case eccessivamente alti.

Compensazione crediti/debiti verso la pubblica amministrazione
Nell’ultima finanziaria 2007 è stato stabilito che nei casi di iscrizione a ruolo di debiti verso la pubblica amministrazione, questa può automaticamente compensare quanto da lei vantato con il credito che un soggetto aveva verso la stessa. Per evitare una disparità di trattamento sarebbe corretto che anche i creditori della pubblica amministrazione possano usufruire dello stesso vantaggio. A titolo di esempio, se un’impresa vanta un credito verso un ente pubblico e deve versare l’imposte e/o i contributi, essa può utilizzare il credito verso l’ente per pagare quanto dovuto all’Erario. Visto i notevoli ritardi con cui la PA onora i suoi debiti l’introduzione di questa norma favorirebbe una migliore e corretta gestione finanziaria da parte dell’imprese.

Recupero del Fiscal Drag
Sono anni che un familiare viene considerato a carico se guadagna i vecchi cinque milioni e mezzo, ora € 2.840,51 come se guadagnare oggi cinque milioni e mezzo sia uguale a 9 o 10 anni fa. Devono essere rivisti questi limiti in base agli attuali poteri d’acquisti, altrimenti si deve considerare questo come un prelievo fiscale mascherato, come tale è il fiscal drag.

Utilizzo della leva fiscale per incentivare la sostituzione di automezzi inquinanti e aumentare la produttività del lavoro
Per ridurre l’inquinamento si potrebbe pensare di dare la possibilità all’imprese di acquistare macchinari meno inquinanti, e di poter scaricare gli interessi che pago sul prestito che contraggo per l’acquisto del mezzo stesso sulla base imponibile IRAP. Ad oggi gli interessi non possono essere scaricati, quindi l’impresa sostiene un costo senza che essa abbia la possibilità di pagare meno tasse. Dando la possibilità di poter scalare dalla base imponibile il costo finanziario, io imprenditore sarò incentivato ad acquistare un nuovo mezzo. Per incentivare ancora di più il ricambio del parco macchine l’impresa potrà usufruire di un ammortamento anticipato elevabile fino a tre volte invece che due. Con questa politica cosa si potrà ottenere? In primo luogo lo stato perderebbe in imposte dirette Irap e Irpef/Ires ma recupererebbe in imposte indirette Iva, in secondo luogo l’imprese vedendo conveniente cambiare il proprio parco macchine saranno spinte ad acquistare nuovi macchinari e quindi avremo più investimenti, che potranno generare nuovi posti di lavoro e quindi nuove entrate tributarie. L’ammodernamento dei macchinari spingerà la produttività aziendale verso l’alto rendendo di fatto le merci più concorrenziali. Non meno importante è l’effetto inquinamento, ci sarebbe una riduzione di emissione di agenti inquinanti visto l’utilizzo di macchinari a maggiore efficienza energetica.

Cessione di quote nelle società partecipate per coprire i debiti contratti senza aumentare le tasse
Ultimamente è andata in voga l’idea secondo la quale se un ente ha dei problemi finanziari, questo deve aumentare il prelievo fiscale a carico del cittadino. Nella Regione Lazio per esempio dato l’enorme debito sanitario, è stata aumentata l’addizionale regionale dallo 0,9% all’1,4% (+55,55%) e l’aliquota Irap di un punto percentuale dal 4,25 al 5,25% (+23,52%). Nella sostanza cosa è successo? Gli amministratori regionali, vecchi e nuovi, hanno gestito male il bilancio della sanità, hanno speso tanto e male, ed hanno provocato un buco finanziario di qualche miliardo di euro. Barzeccole! Per recuperare questo disavanzo sono stati tagliati i servizi e aumentate le tasse. Insomma a rimetterci come al solito sono stati i cittadini. Quest’impostazione non è minimamente condivisibile. Non è giusto far gravare sui cittadini l’inefficienze amministrative. È arrivato il momento che gli amministratori pubblici vengano messi davanti alle proprie responsabilità, così sarebbe auspicabile l’introduzione della norma secondo la quale se un ente non riesce a pagare il debito contratto è costretto non ad aumentare le tasse, ma a vendere le quote/azioni delle società partecipate. Quanti carrozzoni ci sono in giro? Quante società vengono partecipate dagli enti locali o dallo Stato e producono poco e male? Invece di aumentare le tasse si devono vendere le partecipazioni che si hanno in queste società, che ammontano in Italia a miliardi di euro.

Correzione di storture legislative
Nel caso in cui il contribuente si avvale della facoltà di versare ratealmente le imposte, il Fisco chiede interessi del 6% annuo, mentre se il Fisco deve rimborsare il contribuente gli interessi sono del 2,75%, meno della metà. Se il contribuente paga in ritardo i tributi, deve una sanzione del 30%, che si riduce al 3,75% in caso di versamento entro 30 giorni, o al 6% in caso di versamento entro il termine per la presentazione della dichiarazione. Il Fisco che rimborsa in ritardo non è soggetto a nessuna sanzione. Sono storture che devono essere corrette.

Semplificazione legislativa – Codice Tributario
L’Italia è uno dei poche paesi al mondo che non è dotato di un codice tributario. È del tutto evidente che se un materia viene regolata da un miriade di leggi, la materia stessa è più difficile da gestire. Risulta più complicato per lo Stato accertare che il contribuente ponga in essere azioni corrette, e per il contribuente porle in essere. Una semplificazione legislativa, data anche la numerosità delle imposte, favorirà una più corretta gestione sia per lo Stato che per i cittadini.

Università, studenti universitari e ricerca scientifica
Un paese che non investe nell’istruzione è un paese che non investe sul suo futuro, è un paese che si relega ai margini dello sviluppo civile, intellettuale, economico e sociale. L’investimento sugli studenti non è una scommessa al buio, è una scommessa su se stessi. L’università oltre a ripensare la propria struttura burocratica, fin troppo pachidermica e spesso inefficiente, dovrebbe puntare sui propri figli, cioè su quella classe dirigente che dovrebbe garantire lo sviluppo dei propri padri, figli e nipoti. Se è vero che a tutti deve essere garantita l’opportunità di studiare, è altrettanto vero che a nessuno deve essere garantito il vegetare sulle spalle dello Stato. Per questo motivo riteniamo che la linea d’azione di un Governo socialista debba tenere come stella polare della propria azione la meritocrazia.

Ricercatori e ricerca scientifica
I ricercatori italiani sono mal pagati, snobbati dai baroni universitari, umiliati nello spirito. Dopo anni di sacrifici, dopo una vita dedicata alla scienza non resta altra strada che andare all’estero. Una grande VERGOGNA italiana, lasciare che i propri figli abbandonino il proprio paese per cercare una vita dignitosa fuori. Una VERGOGNA italiana permettere un precariato perenne, una VERGOGNA italiana parlare di mobilità e contemporaneamente avere affitti alle stelle e salari bassissimi. È tempo di investire risorse sull’innovazione, è tempo di dare la parola alle giovani menti che troppo spesso fanno la fortuna di paesi stranieri, ed ogni tanto qualcuno vince il nobel. In un paese dove la produzione di massa è andata in crisi, gli investimenti in ricerca e sviluppo sono l’unica soluzione per una duratura e sostenuta crescita economica. Investire in ricerca e cultura per un Stato moderno è un obbligo. La ricerca scientifica è un valore da difendere perché in essa è riposta la speranza di milioni di persone, pensiamo ai malati o ai cambiamenti climatici. Occorre combattere quel bigottismo tanto diffuso quanto nocivo sui temi dell’innovazione scientifica. L’Italia ha bisogno di aprire una grande stagione d’investimenti nella ricerca sulle cellule staminali, sulle fonti energetiche rinnovabili, sulla cosiddetta agricoltura verde. I ricercatori, visti come una risorsa, devono essere tolti dal giogo dei baronati universitari, assunti con contratti a tempo indeterminato e pagati dignitosamente.

Distretti di ricerca scientifica
La scarsità di risorse finanziarie dovrebbe spingere il sistema paese ad uno sforzo programmatico tendente sia ad aumentare le risorse a disposizione sia e soprattutto su come meglio spendere ciò che già si ha a disposizione. Sarebbe interessante prevedere la creazione di un soggetto giuridico ad hoc come il distretto di ricerca dove riverberare finanziamenti pubblici e privati. In esso verranno coinvolti diversi soggetti come gli enti locali, le banche, le imprese, le università, i sindacati, i ricercatori, gli studenti, le associazioni di categoria. Per questo soggetto potrebbe essere prevista una fiscalità di vantaggio in modo da stimolare anche l’investimento privato. La creazione di un solo soggetto giuridico composto da diverse componenti con lo scopo specifico di fare ricerca scientifica, avrà il vantaggio di rendere più agevoli i finanziamenti, di semplificare le pratiche, di marciare verso una direzione senza essere ondivaghi, di razionalizzare e meglio impiegare le risorse.

Comprendere tra le spese d’istruzione oggetto della detrazione del 19% anche le spese per l’acquisto dei libri scolastici
L’istruzione è un diritto costituzionalmente riconosciuto ma spesso non garantito. Se si parte dal concetto di una società non più di eguali, ma di uguali punti di partenza, l’istruzione diventa il primario investimento che un moderno Stato deve effettuare. Il recente e puntuale aumento dei libri scolastici poi ci spinge a riflettere sul costo dell’istruzione e di quanti sacrifici una famiglia deve fare per poter garantire l’erudizione dei propri figli. Potendo le famiglie scaricare nella dichiarazione dei redditi solo le spese legate alle tasse universitarie, proponiamo che vengano inserite tra le spese oggetto della detrazione anche i libri scolastici che rivestono un parte considerevole della spesa.

Edilizia universitaria
Gli studenti fuori sede pagano affitti esorbitanti, spesso senza un regolare contratto di affitto. Partendo da questo dato, che di fatto esclude dalla possibilità di studiare a molti ragazzi dato l’enorme impegno finanziario che una famiglia deve sobbarcarsi, lo Stato dovrebbe farsi carico di finanziarie un programma di edilizia specifica per gli studenti universitari con affitti contenuti. A goderne dovranno essere quegli studenti che si impegnano di più.

Libere professioni
L’università dovrebbe farsi carico di formare i giovani professionisti. Non è possibile oggi che tanti giovani nonostante abbiano dato anni ed anni della propria vita ai libri, una volta terminati gli studi debbano impegnare altri anni per professionalizzarsi. Pensiamo agli avvocati, ai commercialisti, giusto per citare qualche categoria. Vivere anni di praticantato senza stipendio, senza nessuna tutela special modo previdenziale pur lavorando come e più di altri, è un problema di molti ragazzi. Dopo aver studiato passa 18 anni bisogna vivere con l’apprensione dell’ennesimo esame, come se tutto ciò che si è dato negli anni precedenti fosse roba vecchia, da relegare nel dimenticatoio. L’università dovrebbe intervenire fin da subito, dovrebbe istituire corsi specifici per quegli studenti che volessero intraprendere la libera professione. Il corso di laurea dovrà essere improntato non solo sugli studi teorici ma anche sulla pratica professionale. In accordo con gli studi professionali, con i centri di assistenza fiscale, agli studenti deve essere garantita la possibilità di fare il tirocinio. Studio e lavoro questa è la ricetta di una nuova stagione della formazione italiana. L’esame di abilitazione verrà fatto direttamente dall’università al termine degli studi. In questo modo oltre a garantire un più equilibrata formazione teorica e pratica si farà in modo che gli studenti fin da subito possano essere abilitati a svolgere la professione ed a confrontandosi con il mercato. Solo allora possiamo legittimamente chiamare quei ragazzi bamboccioni.