di Nicola Carnovale
Pochi giorni e sapremo. Sapremo chi vincerà, con quale margine e soprattutto se quell’agognato premio di maggioranza su base regionale per l’elezione del nuovo Senato della Repubblica darà o meno in quel ramo del parlamento una maggioranza adeguatamente ampia o sufficiente per iniziare sin da subito senza scuse e batticuore alcuno, un’azione di governo forte ed incisiva. Per ora dobbiamo accontentarci nell’assistere all’ultimo atto di questa campagna elettorale, che se per un verso come detto unanimemente dagli osservatori-spettatori, di parte o meno, non ha regalato grandi emozioni, ha altresì avuto un grande ed instancabile liet motiv che ha interessato tutti, nessuno escluso: quello dell’ utilità. Tutto ciò che riguarda quel mondo politico percepito come casta, lontano dai cittadini e dai problemi del paese, improvvisamente è diventato utile. Partiti utili, candidati utili, coalizioni utili che sono diventati inutili, province inutili che per l’occasione elettorale diventano utili, e chi più ne ha più ne metta. Ma il primo posto nel hit parade la merita la trovata del voto utile.
La prima domanda che verrebbe da porre agli ideatori della nuova dottrina, è quando un voto può dirsi utile. Sicuramente questi si affretteranno a rispondere che “trattasi di voto utile quando questo è dato ad una forza che abbia realistiche possibilità di vittoria”. Ebbene, senza dilungarmi in lunghe e profonde riflessioni, tutte riguardanti la concezione della democrazia, il ruolo che all’interno di essa possono avere tutte le forze che riconosco in questo sistema e che secondo le regole dello stesso intendono concorrevi, dico sin da subito che per quanto mi riguarda ogni voto dato a chicchessia è da ritenersi più che utile. E’ utile alla democrazia in primo luogo. E’ utile per concorrere ad affermare le proprie idee, i propri valori politici, etici e civili che possono essere più o meno condivisi, maggioritari o meno, prioritari o no, all’interno del paese, ma certamente mai e poi mai inutili. Lo dico con franchezza. Non mi stupisce la chiamata al voto utile da parte di Berlusconi, infondo esso è colui che sia dal suo ingresso in politica ha sintetizzato la “sfida” a due, divenendo perno di un sistema bipolare che imponeva a sinistra l’ammucchiata dei fervidi oppositori berlusconiani. Ma con altrettanta franchezza dico che le parole di Veltroni mi hanno amareggiato e stupito.
Non avrei mai pensato che “Uolter”,il democrats per eccellenza, quello all’americana per intenderci, per racimolare qualche consenso in più cadesse nella tentazione di teorizzare il voto utile, dimenticando (o forse riesumando?) la sua vecchia militanza. Perché? Basta fare un passo indietro nella storia, prima della caduta del muro di Berlino e ricordarsi di quel Pci che raccoglieva il consenso di un terzo dell’elettorato italiano. Le condizioni internazionali, tralasciando anche le vicissitudini interne e i brevissimi frangenti di solidarietà nazionale, impedivano sostanzialmente aprioristicamente al Pci di essere forza di governo. Qualcuno può pensare con ciò che il voto al Pci fosse così inutile? Nessuna persona dotata di buon senso può affermare che quel grande Partito all’opposizione, dalla storia controversa e segnata anche dai tanti errori politici e strategici, non abbia svolto una funzione vitale per le sorti ed il buon funzionamento della democrazia in questo paese. Spero che Veltroni con la sua nuova concezione democratics non si volti indietro e ripensi al suo passato, altrimenti potrebbe improvvisamente accorgersi che il suo voto, utile, non è mai stato.