Articolo di Vittorio Marchitti
E’ ormai palese che la nascita del Partito Democratico abbia riaperto la “questione socialista” in Italia. Gli ex-PCI hanno saltato a piè pari, per l’ennesima volta, il socialismo riformista italiano di stampo europeo, pur essendo parte, ancora oggi, di quella famiglia proprio in Europa. Lo avevano già fatto in due occasioni, nel passaggio dal PCI al PDS e da questo ai DS, dimostrando, nei fatti, di essere insofferenti all’idea di un approdo socialdemocratico, eccezion fatta per una parte di quella componente cosiddetta “migliorista” che invece l’aveva sempre auspicato, tra i cui esponenti ricordiamo, tra gli altri, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Emanuele Macaluso, Lanfranco Turci.
Oggi addirittura, con un triplo carpiato, saltano al centro, nel nome del nuovismo veltroniano, dando vita ad un nuovo soggetto politico, insieme agli ex DC, che sà molto di contenitore e poco di contenuti, se non quelli della filosofia del “ma-anchismo”, ossia del tutto e il contrario di tutto. Un’operazione molto più di facciata e di nomenclature che di sostanza, con primarie blindate. Del resto, si sà, la politica oggi è soprattutto marketing, slogan, battage mediatico, culto del leader. Come poteva farsi attendere la reazione del Cavaliere, re del settore? Ed ecco pronto (forse) il nuovissimo “Popolo delle libertà”, lanciato dal capo, in piazza, dalla sera alla mattina, con un’esaltante coinvolgimento democratico degli elettori e degli alleati. Processi ambigui, certo, ma che sarebbe un errore madornale sottovalutare, poiché rappresentano la maggioranza dell’elettorato italiano.
Ma torniamo un attimo agli ex PCI. Sotto la quercia i malumori si sono trasformati in scissioni. La componente di Mussi e Salvi insieme a quella di Angius e Spini avevano unito la seconda e la terza mozione dell’ultimo Congresso DS nel movimento di Sinistra Democratica, ponendo il Socialismo europeo come pregiudiziale, poichè assente nel cantiere del Partito Democratico. Ma i primi non hanno posto la stessa condizione a Bertinotti e Diliberto, annettendosi, in pratica, alla sinistra massimalista, convinti tatticamente che un cartello siffatto, la cosiddetta “Cosa Rossa” o “Sinistra Arcobaleno” che dir si voglia, possa conquistare un peso politico a due cifre. Questo percorso, com’è noto, non ha però soddisfatto i secondi che, coerenti con l’idea che li aveva convinti ad abbandonare la nave del PD, ossia la creazione anche in Italia come nel resto d’Europa di una grande forza socialista, riformista e democratica, hanno aderito alla Costituente Socialista lanciata dallo SDI di Boselli, dal Nuovo PSI di De Michelis e Del Bue, dal SI di Craxi e Zavettieri, dal Movimento di Bertinoro animato da Turci e altri, da “Socialismo è Libertà” di Formica, e da una vasta rete di associazioni e circoli di dichiarata fede socialista, che finalmente oggi si ritrovano in un percorso unitario dopo anni di lacerazioni. Ecco, dunque, prender forma un moderno Partito Socialista, nella speranza che si risolva l’anomalia tutta italiana di una sinistra fagocitata dai cattocomunisti al cospetto di una sinistra europea in cui la stragrande maggioranza dei progressisti si riconoscono in forze liberalsocialiste. Basti pensare al socialismo dei cittadini di Zapatero, edizione rivista e corretta della socialdemocrazia in tempi di globalizzazione, al New Labour di Blair, alla flexsecurity di Rasmussen, per citarne solo alcuni.
In Italia il percorso intrapreso con il lancio della Costituente Socialista prima e con la nascita del PS poi, si potrebbe riassumere nell’accezione di “socialismo largo”, tanto cara a Formica. Vale a dire un socialismo fortemente riformista e aperto a istanze laiche, libertarie, repubblicane e soprattutto liberali, pronto a dare un sicuro approdo a quella vasta platea di cittadini che da tempo ha smarrito un punto di riferimento ideale. In questo senso possiamo parlare di “liberalsocialismo”, e del resto sono molteplici le contaminazioni tra queste filosofie. Occorre qui ricordare, per sommi capi, il lavoro dei fratelli Rosselli, da cui il volume “Socialismo liberale”, il movimento di “Giustizia e Libertà”, il Partito d’Azione (che vide, nel dopoguerra, socialisti come De Martino e Lombardi, al fianco di liberaldemocratici come La Malfa), la collaborazione tra liberalismo di Giolitti e il socialismo riformista di Turati, il nuovo corso liberalsocialista del PSI col saggio su Proudhon del 1978 di Craxi e Pellicani, da cui prese corpo il “Lib-Lab” di Intini e Bettiza. Operazioni ardite, se andiamo a rianalizzare i momenti storici in cui furono concepite. Quella sul finire degli anni ’70, ad esempio, incontrò forti resistenze sia all’interno dello stesso PSI che più in generale in tutta la Sinistra italiana, egemonizzata, manco a dirlo, dall’idea comunista, e oltretutto in pieno compromesso storico DC-PCI. In questo senso, si intravede, volendo azzardare, una qualche analogia con l’attuale “fusione fredda” DS-Margherita, che, sull’onda dell’oscurantismo mediatico, tende a marginalizzare il PS. Che sia di buon auspicio questa similitudine, visti gli eccellenti risultati che raggiunse il PSI dell’epoca?
Al di là della speranza, comunque, questi esempi dimostrano quanto il socialismo, esautorato della sua matrice marxista-massimalista, abbia contribuito a “socializzare” i valori liberali, per dirla con Proudhon. Un socialismo che riconosce l’economia di mercato, quale portatrice di ricchezza e sviluppo, ma non una società di mercato, perché questa è animata da donne e uomini che hanno dei diritti inalienabili, dalla salute all’istruzione ad esempio, che vanno al di là delle regole di mercato. Insomma, l’esatta coniugazione di sviluppo e giustizia sociale.
Concetti sempre attualissimi, nonostante molti si rincorrano nel suonare le campane a morto del socialismo, o immaginando una sua diversa lettura. A cominciare dal funerale di Giddens apparso su “Repubblica” nell’agosto dello scorso anno, passando per il volume di Polito “Oltre il Socialismo”, fino alla rivisitazione odierna di Bertinotti. Per non parlare di quanti, ex-socialisti, credono di poterlo salvare, chiedendo asilo nel PD. Prendendo spunto da questi assunti, non ci sarebbe spazio per una nuova e moderna forza socialista in Italia, e chi oggi insegue la sua costruzione sarebbe un povero illuso, che attraverso una battaglia di testimonianza cerca di mantenere una rendita di posizione, fuori tempo massimo. Un’operazione di nostalgici, destinata ad avere fiato corto.
Ebbene no, non è così, o per lo meno non deve correre il rischio di diventarlo. Anche perché i segnali che arrivano, dicono l’esatto contrario. Si susseguono, infatti, le iniziative di Costituenti Socialiste su tutto il territorio nazionale; numerose sigle, associazioni, circoli, liste civiche, oltre quelle politiche che riuniscono la diaspora, stanno manifestando in questi mesi la volontà di aderire a questo processo; tanti i giovani che in questo percorso stanno investendo sogni e passione. E’ un fermento di cui non di ha memoria negli ultimi 15 anni, nonostante tutto stia avvenendo nel più assoluto silenzio dei media. Certo, problemi organizzativi sono innegabili, ma se sapremo superarli di slancio, se davvero si apriranno le porte all’ingresso per una vera contaminazione con forze e filosofie cui accennavamo, se sapremo rispondere ai bisogni reali della gente, sempre meno legata ai vecchi schemi della politica, interpretando quella “politica di prossimità” che ci permetterebbe di radicarci sul territorio, se avverrà, insomma, un vero “big bang socialista”, allora potremo recuperare margini di consenso impensabili. Un Partito Socialista siffatto diventerebbe la prima alternativa per una parte di quell’elettorato di FI che un tempo votava PSI, per i laici che non vogliono votare PD, per gli ex elettori DS che non vogliono rassegnarsi alla scomparsa di una sinistra riformista in Italia, per i radicali non “pannellizzati” e anche per qualche scontento che non ne può più della vocazione autolesionista della sinistra antagonista. Fantascienza? No, conquiste possibili con una buona proposta politica.
Tutto questo avviene in un clima di notevole incertezza politica, con la CDL in avanzato stato di decomposizione, e la perenne fibrillazione dell’Unione, con la corrispondenza d’amorosi sensi tra PD e PdL, con la Cosa Bianca e quella Rossa all’orizzonte. Sembra ormai scontato il ritorno al proporzionale puro, con preferenze e sbarramento alla tedesca, per tentare di passare dal bipolarismo al bipartitismo. Certamente meglio sarebbe stato un modello elettorale sulla scorta di quello che garantisce da anni governi e stabilità negli enti locali, ma se tedesco sarà, allora che il PS pretenda la soglia di sbarramento al 4-5%, a dimostrazione che non siamo nanetti, come dice Turci, a difesa di quella rendita dell’1-2 %, come qualcuno ci accusa, ma abbiamo una progettualità politica di più ampio respiro. Non si potrebbe lanciare con presupposti “altri” un nuovo corso, e in questo senso un Partito Socialista forte, con percentuali degne, serve anche al PD, perchè lo incalzi sul terreno riformista e faccia da contrappeso ai veti della Sinistra Arcobaleno, a meno che i neo-democrat italiani non siano attratti dall’idea dell’uno contro tutti, o dall’inciucio neo-centrista con una futura Cosa Bianca (attenta anche alle sirene di Fini e Casini, in perfetto stile democristiano), o dalla trasformazione dell’intesa sulla legge elettorale con il Cavaliere in qualcosa di più ardito