Ancora una volta abbiamo assistito al deprimente spettacolo di un intero Paese che si piega all’interesse particolare di una singola categoria. Stavolta l’Italia è stata messa alle strette dal blocco degli autotrasportatori. Tempo 48 ore e l’intero sistema è finito in ginocchio: pompe di benzina a secco, scaffali dei supermercati vuoti, ancora qualche ora ed avremmo visto esplodere nelle strade scene d’isteria collettiva con la corsa all’accaparramento delle ultime scorte disponibili.
Alla fine i Tir sono ripartiti, a seguito delle generose elargizioni del governo e siamo tornati alla normalità. Qualcuno ha parlato, a ragione, di vittoria del Partito del blocco stradale. Prima dei camionisti erano stati i tassisti e prima ancora i benzinai ma non sono mancati gli scioperi selvaggi degli autoferrotranvieri o dei controllori di volo. Ogni volta che una determinata categoria vede messi in discussione i propri diritti – leggasi in alcuni casi privilegi – si sente in diritto di bloccare l’Italia intera, ricorrendo all’occupazione delle strade con buona pace dei comuni cittadini su cui ricadono tutti i disagi. Si potrebbe senza dubbio discutere della fragilità del sistema dei trasporti, in cui gli spostamenti delle persone, oltre che delle merci, si svolgono per la quasi totalità su gomma con i conseguenti disagi in termini di traffico ed inquinamento. Si potrebbe anche riflettere su un paese la cui dipendenza dal petrolio ha raggiunto livelli di criticità spaventosi, dove si è rischiato, e in alcuni casi raggiunto, lo stop delle attività produttive.
Tutte queste analisi non sarebbero complete se si trascurasse l’aspetto socio-politico della vicenda. Come non aveva mancato di evidenziare già nel 1500 il fiorentino Francesco Guicciardini, padre della scienza politica, l’Italia è il Paese del “Particulare” dove prevale l’interesse individuale su quello generale.
Rispetto a questa tendenza la politica è inerme, peggio: è complice. Nella misura in cui si piega alle volontà di chi, con l’arma del ricatto di piazza, porta le proprie rivendicazioni corporative al successo. Ogni occasione è buona per vedere i vari esponenti del teatrino politico correre al capezzale dei manifestanti per portare la propria solidarietà pelosa. Nella destra italiana, qualunquista e demagogica la tendenza a cavalcare la difesa delle rendite di posizione appare coerente con un impianto ideologico che privilegia l’assetto corporativista in luogo della logica liberista e di mercato. Non stupisce vedere il deputato di destra che si improvvisa capopopolo dell’esercito dei tassisti rivoltosi. Diverso discorso va fatto per la sinistra che appare vittima di una prassi che ha contribuito ad instaurare. Combattuta tra la sua parte riformista e quella conservatrice (malamente detta radicale) con la scusa di tutelare un diritto dei lavoratori si è spesso ritrovata a difendere le discriminazioni che tra essi esistono.
Ricordiamo tutti i 3 milioni (in maggioranza pensionati) portati a Roma dai sindacati contro la riforma dell’articolo 18. Quella manifestazione bloccò un tentativo di riforma del mercato del lavoro che, sebbene riducendo alcune garanzie di una parte di lavoratori dipendenti, avrebbe incentivato le assunzioni, anche quelle a tempo indeterminato. Senza contare che, in molte realtà produttive, l’articolo 18 non è mai esistito, e mai esisterà per tutta quella parte di lavoratori che oggi assimiliamo nella categoria dei precari. La polemica ideologica prevalse sull’analisi pragmatica. La tentazione di assestare un colpo al nemico politico fu più forte della capacità di confrontarsi con l’avversario. Nessuno prese le parti di chi un lavoro ancora non l’aveva affatto, oppure di chi non aveva alternativa ad accettare di fingersi autonomo per lavorare come collaboratore a progetto.
Certo allora, come oggi, mancava una controparte; una rappresentanza dei non rappresentati. Questo sarebbe il ruolo che dovrebbe svolgere la Politica, quella con la P maiuscola: la cui funzione specifica dovrebbe essere quella di amministrare la cosa pubblica nell’interesse della collettività. Vorremmo un giorno vedere una forza politica che invece di puntare alla rappresentanza degli interessi di questa o quella categoria facesse gli interessi del Paese. Una forza che accettasse la sfida della modernità perseguendo un disegno organico di riforme che mirino a ridurre le disuguaglianze tra i cittadini dando maggiori opportunità a chi non è garantito dall’appartenenza ad una casta.
Una sfida che vorremmo veder giocare a sinistra.