Si può fare, recitava un famoso slogan di una campagna elettorale di qualche tempo fa. E deve essere stata per quella voluta ambiguità dello slogan che tanti sostenitori di quel partito avvertono oggi un generale senso di smarrimento di fronte alla devastante vittoria di Berlusconi.
Tutti a ripetere bovinamente che si, si poteva fare, e nemmeno uno che si premurasse di chiedere cosa fosse possibile fare.
Certamente non la fantomatica rimonta nei confronti dello schieramento berlusconiano, dato che, a bocce ferme, possiamo pacatamente affermare che la rimonta l’ha effettuata lui arrivando all’incredibile divario di nove punti percentuali e oltre 3 milioni di voti in più…
Quello che si poteva fare, ed in effetti si è fatto, è stato l’eliminazione politica della sinistra di questo paese secondo il mai tramontato slogan “niente più a sinistra del piccì”, dove l’adeguarsi al mutare degli eventi sta tutto nella sostituzione di una d alla c.
Qualcosa che non torna, tuttavia, lo vediamo lo stesso, noi che sul reale significato di quel “si può fare” non ci eravamo mai fatti molte illusioni.
Si perché in definitiva avevamo capito che nelle intenzioni dei vari Democrats a vocazione maggioritaria, lo scopo del Piddì fosse quello di battere Berlusconi e non Bertinotti.
Pensavamo che questa strana creatura partitica fosse stata concepita per “sfondare al centro”, per attrarre su di sé il famoso elettorato moderato, per attrarre i consensi degli indecisi e tante altre simpatiche amenità che ci sono state propinate a intervalli regolari per circa sei mesi.
Già, sei mesi, esattamente il tempo passato da Walter Veltroni alla guida del Partito Democratico: è interessante notare quale fosse la situazione politica di allora e quale sia quella di oggi.
Meno di un mese dopo il 14 ottobre 2007, giorno delle primarie che hanno incoronato l’ex sindaco di Roma come leader incontrastato dello schieramento di sinistra, accadeva che nonostante la maggioranza risicata al senato, la finanziaria del governo Prodi veniva approvata per un pelo, sconfessando clamorosamente le previsioni berlusconiane di caduta del governo sul provvedimento.
Il susseguente marcamento di Fini e Casini dall’ombra del capo ha determinato quello che fin qui è stato il punto più basso della parabola politica dell’uomo di Arcore, che pure era prontamente uscito dall’angolo estraendo dal cilindro il Partito dal predellino.
Da allora è stato un susseguirsi di avvenimenti in cui ogni mossa veltroniana non faceva che rinsaldare e legittimare la leadership berlusconiana del centrodestra come puntuale contrappeso alla polarizzante nascita della propria leadership personale nel campo del centrosinistra: dalla legge elettorale al tipo di campagna elettorale, non c’è stata mossa che il buon Walter non si sia premurato di raccontarci che doveva essere presa di comune accordo col comune nemico, fino ad arrivare al devastante esito delle urne che, stavolta non di comune accordo, consegna al Cavaliere una maggioranza ipoabissale tanto alla Camera quanto al Senato.
Qualcuno in verità l’aveva detto, il tanto odiato Massimo D’Alema, che fare sponda con Berlusconi era tutto meno che un buon affare. Ma si sa, finchè c’è Walter si può fare e allora tanto vale farlo.
E poco importa se il Piddì ha inseguito il PDL sul piano della spettacolarizzazione della politica, delle candidature creative (dalle belloccie deficienti agli imprenditori forzitalioti passando per le cilicio-munite), della politica fatta solo di slogan, di un inno terrificante quanto quello del PDL.
Poco importa pure che in nome del compromesso utile a vincere ci siamo dovuti subire la favola che era necessario fare accordi con i cattolici, che sulla laicità magari per un po’ era necessario chiudere un occhio.
E poco importa anche che la spinta ideale propria di ogni partito di sinistra sembrava essersi arenata nelle interviste in cui Walter si premurava di ricordarci che il PD è riformista ma non di sinistra.
Si poteva transigere a tutto in nome del fatto che almeno, col nostro voto utile, si poteva almeno fermare il ritorno di Berlusconi. E invece quello che vediamo è che non è stato conquistato nemmeno un voto al centro, e anzi se possibile ne sono stati persi diversi in favore dell’UDC, per capitalizzare quanto più possibile il perverso meccanismo del voto utile degli elettori di sinistra.
Ironia della sorte, i voti del Pd sono i voti dell’antiberlusconismo militante dati a chi, della non demonizzazione di Berlusconi ha fatto la stella polare della propria azione politica.
Ora ci ritroviamo un paese con una gigantesca crisi di rappresentanza che si aggiunge alle sue altre mille crisi, e un capo del governo di cui tutti conosciamo le indiscutibile capacità distruttive.
Ieri alle 20.32 Walter Veltroni commentava così la situazione: “Oggi il riformismo italiano può pensare a se stesso con forza ed energia”. Quando uno nasce vincente c’è poco da fare…