[PostElezioni] Tattica, ma anche strategia

Gli obiettivi in vista delle elezioni politiche che si sono concluse, il Partito Democratico li svelò ancor prima della caduta del Governo Prodi, tramite l’annuncio fatto da Veltroni ad Orvieto di voler porre fine all’Unione. Ovvero, la scelta tattica di puntare esclusivamente alla crescita quantitativa del partito, senza accompagnarne in alcun modo il progresso strutturale. Ed è alquanto curiosa, per non dire paradossale, l’analisi inerente la riuscita – effettiva, c’è da dire – del progetto: si è centrizzato il più possibile il PD, guadagnando suffragi “drogati” – poichè guidati unicamente dalla logica del voto utile e dall’aspettativa dell’unica-alternativa-possibile-a-Berlusconi e non sorretti nemmeno dal più flebile barlume di fiducia nella consistenza politica del progetto – soltanto a sinistra, senza riuscire effettivamente a far avvicinare quell’area moderata, cattolico-liberale e cautamente riformista cui si rivolgeva la massima parte del programma elettorale.

Quando, all’indomani dell’annuncio di voler correre da soli, i primi sondaggi diedero una mappatura politica rivelatasi poi coerente con l’effettivo esito delle urne – e cioè un distacco di 9 punti percentuali dal PdL- l’entourage del PD commentò entusiasta, confermando la scelta della corsa solitaria.
Subito dopo, la campagna circa il “voto utile” e l’invito esplicito all’elettorato a considerare Berlusconi come unica preferenza alternativa validamente esprimibile: un bipolarismo coatto e formalmente inesistente, datosi che la scelta di ignorare una legge elettorale fortemente studiata per una corsa elettorale tra due singole coalizioni aveva prodotto la discesa in campo di 15 candidati premier ad armi pari. Una campagna che, di fatto, ha ulteriormente svilito la sovranità popolare, riducendola alla mera preferenza in un referendum pro e contro Berlusconi: Pigliatutti Veltroniano da un lato, con Di Pietro a coprire il versante dell’anti-politica, e il Popolo del Cavaliere, con l’omologo partito anti-sistema dall’altra.

E, come in economia le previsioni generano automaticamente il proprio inverarsi, nella politica elettorale vige la stessa tendenza: dai primi sondaggi alle schede del Viminale il passo è breve. Dopo una cospicua mobilitazione dall’alto, come quella della propaganda per la semplificazione parlamentare, lo è ancor di più.
Ad oggi, quindi, quegli stessi dirigenti, dovrebbero dirsi contenti, perchè la strategia si è rivelata totalmente azzeccata: lo scopo, infatti, non era quello di scalfire il previsto e prevedibile semi-plebiscito leghista-berlusconiano, bensì gonfiare a dismisura la visibilità solipsistica del partito, a discapito di qualsiasi altra variabile. L’eventualità di poter sul serio aspirare a governare, innanzitutto.