Il manifesto per l’uguaglianza dei diritti

Articolo di Clara Comelli (coordinatrice nazionale per la diffusione del Manifesto per l’Uguaglianza dei Diritti) e Francesco Bilotta (docente di diritto privato nell’Università di Udine)

Gay Agenda

I riflettori si sono spenti sul Gay Pride. Il trucco è stato lavato via. La festa è finita, ora ricomincia l’impegno concreto per la lotta dei diritti. Il giornali del giorno dopo si sono accorti finalmente che il folklore non è tutto e che tra le migliaia di manifestanti c’era la voglia di rivendicare un posto nella società, una società diversa, più rispettosa di ciò che ognuno è, in una parola più giusta.


Per mesi abbiamo parlato di DICO, e la Pollastrini, così come i suoi colleghi ministri (lodevolmente) presenti al Gay Pride (ma solo per un saluto in modo da non scontentare il Palazzo) ha pensato bene di rilanciare la sciagurata iniziativa legislativa del Governo, sbagliata innanzitutto perché legittima un’idea che va rifiutata alla radice, ossia che una coppia omosessuale non sia una famiglia e che quindi non possa godere delle stesse tutele di una coppia (eterosessuale) unita in matrimonio.
Del resto Prodi lo ha detto e ripetuto in tutti i modi e su questo sono tutti d’accordo nel nascente Partito Democratico: una coppia gay non può formare una famiglia, e ovviamente non può adottare dei bambini. Affermazioni che non sono mai accompagnate da una motivazione, che non sia – a volte – fondata sulla propria sensibilità personale o sulle proprie radici culturali cattoliche. Pura ipocrisia che serve a nascondere la realtà, perchè in Italia ci sono già migliaia di famiglie formate da persone dello stesso sesso e sono migliaia i genitori omosessuali che allevano con grande affetto i propri figli.
Pari dignità ed eguaglianza, chiedevano i manifestanti del Gay Pride, ma quelle centinaia di migliaia di persone chiedevano a tutti per prima cosa attenzione.

Il 14 giugno scorso a Firenze è stato depositato il primo ricorso contro il diniego del Comune di pubblicazioni di matrimonio tra due persone dello stesso sesso. Ne ha dato notizia l’Ansa, ma sui quotidiani nazionali non si è letto neppure una riga al riguardo.
Nei prossimi giorni sarà depositato in Cassazione il primo ricorso di una coppia gay sposatasi in Olanda, che intende ottenere la trascrizione del proprio matrimonio nel nostro Paese. Quei due ragazzi, che ormai sono sposati da 5 anni, si sono sentiti dire dai giudici di primo e secondo grado che il loro matrimonio è contrario “all’ordine pubblico”.
Infine, due ragazzi che abitano in Toscana chiedono inutilmente da anni il ricongiungimento familiare, visto che uno dei due è extracomunitario. Anche loro presto si rivolgeranno alla Cassazione. Tre storie giudiziarie, ma anche tre storie mai raccontate e che quindi quasi nessuno conosce.

Da qualche mese in internet si può firmare un “Manifesto per l’eguaglianza dei diritti” (www.matrimoniodirittogay.it). Una firma per dire che matrimonio, adozione, genitorialità sono prerogativa anche degli omosessuali. Ha superato le 4.000 firme, con qualche assente eccellente e molti cittadini (anche eterosessuali) che credono che questa sia l’attuale frontieria della lotta per uno Stato laico e liberale. In una democrazia si vive bene, se tutti sono rappresentati e tutelati, nel rispetto delle leggi.
Ecco il punto: uno Stato che non abbia leggi a tutela delle minoranze, non è uno Stato inclusivo. E chi non si sente riconosciuto e tutelato come cittadino, perché dovrebbe partecipare attivamente alla cosa pubblica pagando le tasse, lavorando, favorendo la crescita della società che lo circonda?

Restituire le proprie carte d’identità o le proprie tessere elettorali al Governo, a testimonianza che gli omosessuali italiani non si sentono trattati come cittadini. È l’ultima proposta dei vertici di Arcigay. Ma tanto impegno non sarebbe meglio speso per organizzare in tutta Italia, una mobilitazione giudiziaria delle migliaia di persone omosessuali quotidianamente discriminate, vittime di violenza, prive di qualsiasi tutela quando decidono di formare una famiglia? La nostra Costituzione consente di rileggere le norme vigenti (anche in materia matrimoniale) per estenderle alle coppie omosessuali. Quale significato politico avrebbe obbligare tutti i Tribunali d’Italia a dare una risposta a questa domanda di giustizia?

Restituire le tessere elettorali o le carte d’identità è simbolicamente un atto di resa. Trascinare lo Stato in Tribunale, invece, significa esercitare i propri diritti, significa testimoniare nei fatti e non solo con gli slogan che i cittadini omosessuali italiani prima che gay, lesbiche, transessuali, bisex, sono appunto cittadini. Secondo alcuni un’opzione del genere è politicamente scorretta, il che dovrebbe far riflettere molto. Se rivolgersi alla magistratura per far valere un proprio diritto è visto come un atto eversivo o rivoluzionario, vuol dire che nel nostro Paese qualcosa non va.