Il Satyagraha Mondiale per la Pace passa attraverso Kant

Articolo di Luca Taddio (Socialista e membro del comitato nazionale dei Radicali Italiani)

Sono passate sotto silenzio le tre giornate organizzate dai radicali a Bruxelles tra il 6 e l’8 dicembre per lanciare la campagna per il Primo Satyagraha Mondiale. Piuttosto che ripetere quanto è possibile ascoltare su radioradicale o leggere sul sito dei Radicali Italiani, a cui rinvio, preferisco soffermarmi sul concetto stesso di “mondiale”.
All’inizio le grandi idee sono state spesso, se non sempre, interpretate come il parto di intellettuali velleitari o sognatori, o additate come semplicemente strampalate. Un modo come un altro per sbarazzarsi di idee che non si comprendono o che mettono in discussione forme di potere ormai consolidate. Pensate a quanti conflitti ha attraversato l’Occidente prima di iniziare a sperimentare la democrazia, a quante resistenze hanno provocato le rivoluzioni scientifiche, da Galileo a oggi.


La globalizzazione interessa soprattutto il mercato, presentando un inedito problema di governance: i capitali si spostano al di là dei confini di sovranità, mentre politicamente si continua a decidere entro i confini tradizionali. La globalizzazione, come è stato più volte ricordato, ha messo a nudo l’inadeguatezza delle categorie moderne della politica: come si può governare eventi globali, che travalicano i confini, all’interno di confini nazioanli? Sarebbe come pretendere di bloccare il vento con le mani.

La problematica è infinitamente complessa, certo, e nessuno oggi è in grado di governare l’economia globale, ovviare alla fame nel mondo, controllare i problemi legati all’immigrazione, spegnere i molti focolai di guerra presenti nel globo restando all’interno di specifici e definiti confini di sovranità. Al contrario oggi ci troviamo nella situazione per cui a decidere sono unicamente i Paesi, o il Paese, dominanti, con tutto ciò che tale unilateralità comporta.
Sovranità implica poter decidere all’interno di un territorio, ma questo territorio è attraversato da fenomeni, direttamente e indirettamente, globali. Questa paralisi e impotenza della politica rende paradossalmente attuale l’idea kantiana degli Stati Uniti del Mondo come unico orizzonte possibile per il raggiungimento della pace perpetua. Paradossalmente perchè è un’idea chiaramente irrealizzabile nel presente, ma che deve essere considerata come fine e guida dell’azione politica.

Nel dispiegamento planetario della tecnica anche il politico assume carattere “tecnico”: è – nel migliore dei casi – un buon amministratore, l’arbitro di una partita le cui regole sono già definite. L’idea kantiana invece potrebbe essere un obiettivo di ampio respiro per l’intera area riformista, laica, liberale, radicale e in essa anche il nascente partito socialista potrebbe trovare ispirazione per definire un orizzonte internazionale per raggiungere nuova equità e una giustizia sociale globale. La politica si spoglierebbe così dell’abito grigio del tecnico riacquistando, anche dopo la morte delle ideologie, un ruolo più alto che permette di immaginare una società diversa, in un gioco più ampio di poteri e contropoteri. Tale processo deve passare per il riconoscimento della laicità, premessa necessaria per un aggregazione globale. Solo quando realizzeremo gli Stati Uniti del Mondo sarà possibile governare uno spazio politico già di fatto globalizzato. Solo con questo assetto si potrà concretamente agire e decidere in tutela dei più deboli, sui problemi ecologici mondiali, sul controllo delle nascite, eccetera. In alternativa abbiamo la tutela dei pochi, dei Paesi più ricchi e di chi sta meglio, ma questa è una visione miope, perché l’Occidente non potrà reggersi a lungo sulle spalle di gran parte della popolazione mondiale.

Non raccoglieremo noi i frutti di questa battaglia, ma le idee rappresentano il presupposto dell’azione e l’azione è necessaria per effettuare i cambiamenti. Ecco il possibile orizzonte politico per la nuova sinistra riformista, gli Stati Uniti del Mondo per una pace perpetua: una battaglia laica, come premessa per la libertà religiosa intesa come fatto di coscienza individuale, liberale, come mercato globale e socialista, per equità e giustizia sociale. Solo se anche la politica avrà poteri globali potrà rispondere a problemi globali. L’attualità dell’idea del Satyagraha mondiale per la pace non può che passare attraverso il progetto kantiano degli Stati Uniti del Mondo: progetto federalista capace di prevedere diversi gradi di sovranità e, contemporaneamente, di tenere fermi alcuni diritti e forme di libertà individuale. Bobbio scrive, ne L’età dei diritti, che il «processo di democratizzazione del sistema internazionale, che è la via obbligatoria per il perseguimento dell’ideale della “pace perpetua”, nel senso kantiano della parola, non può andare innanzi senza una graduale estensione del riconoscimento e della protezione dei diritti dell’uomo». L’idea di Kant ridiventa oggi attuale proprio grazie al processo di globalizzazione e di sviluppo tecnologico in corso il quale, se non è governato, è destinato ad accrescere tanto le nostre paure che i reali conflitti. Le nuove tecnologie rappresentano anche un potenziale enorme di conoscenza condivisa, o, come è stata definita da Pierre Lévy, di intelligenza collettiva.

Internet è sempre di più una possibile fonte di democrazia, partecipazione e trasparenza: sebbene per ora rimanga ai margini dell’agenda politica, conferirà certamente uno statuto di realtà a ciò che oggi riconosciamo, in modo “primitivo”, come virtuale.
Abbiamo superato alcune importanti dicotomie, fino ad oggi politicamente indiscusse, come la contrapposizione tra natura e cultura: grazie ad una più approfondita conoscenza delle teorie evolutive post darwiniane, possiamo comprendere come insensata una contrapposizione tra una presunta innaturalità della tecnica contro una presunta spontaneità della natura. Al contempo l’idea che la tecnica sia un semplice mezzo, controllato dall’uomo per raggiungere determinati fini, è un paradigma che appare ormai invertito. Sembra piuttosto che sia l’uomo a inseguire la tecnica, non più nelle sue mani, né sotto il suo controllo. La tecnologia ci sta conducendo verso un intreccio sempre più indistinto tra l’uomo e la tecnica, dove anche l’idea stessa di morte biologica assume connotati antropologici diversi, accompagnando l’homo sapiens verso un homo tecnologicus. Su questo la politica oggi tace.